Vandana Shiva, nel suo piccolo libretto Earth Democracy, living Democracy, mette bene in evidenza come la perdita di autodeterminazione economica, in primo luogo dei contadini - che sono alla base della autodeterminazione economica di una popolazione - e di seguito di tutte le altre forme di autoproduzione ed attività autogestite su piccola scala, è la base della perdita di democrazia reale ovvero dell' autodeterminazione politica. Una volta incrinata questa base il potere reale viene espropriato da parte dei detentori dei mezzi di produzione che oggi sono le multinazionali, ormai divenute necessarie al modello economico del quale tutti si ritrovano ad essere dipendenti.
In queste condizioni la democrazia diventa sempre più formale: si sposta, da un lato, sul piano dello spettacolo e del passatempo - ormai perfino più verbale che intellettuale - mentre dall'altro, al crescere dell'insicurezza, del senso di precarietà e di perdita di radici e di identità, spazi crescenti si aprono per le risposte più ovvie e banali, come la violenza, il razzismo e l'integralismo.
E' interessante ed ampiamente condivisibile come Vandana Shiva sottolinei il fatto che, contrariamente a quanto viene spesso propagandato, i processi di globalizzazione non portano alla presunta società multietnica e multiculturale, ma all'indurirsi, al ripiegarsi su sé stesse delle comunità a cui viene a mancare una base concreta, economica (e perciò culturale) di autodeterminazione. Lo scontro di (in)civiltà diviene di conseguenza una inevitabile e cieca guerra tra poveri - tali in tutti i sensi - alimentato ad arte dai politici che non sanno, non possono o non vogliono affrontare i problemi reali di fondo e puntano dunque sulle scappatoie del terrorismo e della violenza xenofobo-fascista da un lato e dall'aumento di spese militari, per sistemi di controllo/sicurezza e restrizione delle libertà civili dall'altro.
E' ancora più interessante, in questa prospettiva, il concetto a cui V.Shiva fa riferimento, di Libertà Ecologica, che può suonare un po' astruso a prima vista, ma che riflette appropriatamente questa sostanza di autentica, concreta libertà, anche politica, delle comunità (e degli individui - a meno che questi non vogliano porsi in un'ottica egocentrica come esseri illusoriamente isolati dal contesto eco/sociale) basata sulla propria peculiare forma di rapporto/adattamento anche economico-produttivo all'ambiente naturale di cui sono parte. Adattamento elaborato in tempi molto lunghi e che costituisce ad un tempo la storia, le capacità, la cultura e la possibilità di durata nel tempo di quella comunità/popolo/cultura/forma di vita umana e sociale in quanto tale.
E' solo sulla base di questa forza, di questa sicurezza e di queste radici che - come del resto è sempre avvenuto senza bisogno dell'attuale globalizzazione e della modalità accelerata di tutti i fenomeni che le si accompagnano - un popolo/cultura può sentirsi in condizioni di rapportarsi pacificamente e con vantaggi reciproci con un altro popolo senza che quest'ultimo smetta di essere altro né che il fatto che lo sia debba necessariamente rappresentare una minaccia.
E' anche molto rilevante che Vandana Shiva parli dell'economia sostenibile come di un'economia basata sulla gestione dell'ambiente in modo paragonabile alla cura di una dimensione domestica, del proprio orizzonte a misura delle proprie necessità basilari. Questo tipo di economia è, dice la Shiva, incentrata sulle donne ovvero sull'apporto e sulla forma che la dimensione/componente femminile dà al modello/sistema.
Mi pare molto chiaro che questa visione - che può avere moltissimo di vero - e che può anche andare sotto il nome di eco-femminismo, può però riferirsi esclusivamente alle donne tradizionali, per lo più del Terzo Mondo e delle società agricole, tuttora ampie ed esistenti, ma non può in nessun modo riferirsi alle donne in generale in quanto esseri umani di sesso femminile.
E' importante avere ben chiaro questo punto: se, quanto ad un discorso come quello della Shiva, di (eco)femminismo si può trattare, ciò può essere solo limitatamente ad un certo tipo di donne le quali, proprio perché rimangono con tutta la loro dignità al posto fondamentale che gli appartiene in un tipo di società/cultura che pratica un'economia sostenibile, meritano tutto il riconoscimento dell'importanza imprescindibile del loro contributo e della garanzia di ecosostenibilità che questo costituisce. Ma lo stesso non può affatto dirsi delle donne che seguono il modello occidentale moderno cosiddetto emancipato e che rifiutano completamente un ruolo femminile tradizionale ed, anzi, l'idea stessa di ruoli di genere. La loro condizione è tutt'altra da quella delle donne che reggono una società agricola e basata sull'autoproduzione contadina e fondamentalmente di sussistenza (il solo modello economico - pur aggiornabile - che possa davvero essere sostenibile nel lungo periodo). La loro condizione è nei fatti all'opposto, in quanto ha la possibilità di esistere solo in un tipo di sistema/società che abbia radicalmente abbandonato la dimensione contadina (relegandola a popoli più arretrati e sfruttabili o sostituendola con sistemi produttivi e di mercato distruttivi dal punto di vista naturale) con i ruoli di genere che inevitabilmente comporta (nonché con le diverse forme di conoscenza e dignità che ad essi si accompagnano). La loro condizione è, nei fatti, dall'altra parte della barricata rispetto alle donne di cui parla Vandana Shiva sulle quali l'economia domestico-centrata si basa, in quanto la loro condizione emancipata come individui-donne (e non come metà-femmina dell'insieme sociale) è inseparabile da un sistema/società che si è emancipato dall'ambiente naturale a cui fa pagare il prezzo di questa sua emancipazione insieme agli altri popoli che non si sono posti su questa stessa strada di insostenibile privilegio spacciato per progresso, libertà, civilizzazione ed, appunto, emancipazione. Al di fuori di questa forma di civiltà tanto progredita quanto snaturata, tanto avanzata rispetto a tutte le altre quanto pesante su tutte le altre, non si è mai visto un oblìo così radicale della consapevolezza dei ruoli di genere: nemmeno nelle società matrilineari o in cui si venerava una Dea-Madre e in cui le donne mantenevano un posto centrale anche nelle decisioni che riguardavano la collettività: altro è il rispetto per ognuno dei ruoli ed altro la loro negazione e la negazione della realtà che gli sta dietro.
L'in-differenza per i ruoli di genere è inseparabile da ed inimmaginabile senza un paradigma come quello attuale sorto sull'annientamento della civiltà contadina (nelle sue varianti) in ogni luogo della Terra e sull'allontanamento sistematico degli esseri umani dalla Natura - cosa che è peraltro impossibile, dato che non ne siamo altro che un aspetto, il che sarà più chiaro quando si capirà che insostenibilità non significa ciò che non piace agli ecologisti ma precisamente, alla lunga, impossibilità.
La prospettiva in qualche modo ecofemminista alla quale riesco a riconoscere una coerenza possibile col discorso di V.Shiva, è quella in cui si riconosce ad un tempo la necessità dei ruoli di genere (e segnatamente di quello femminile sostanzialmente tradizionale) e l'enorme valore e dignità e ricchezza che questi hanno in sé come dimensioni dell'esperienza umana e come fondamento di sistemi sociali naturali.
Questo, ovviamente, va inteso in un quadro complessivo in cui è tutto il sistema a rientrare in modalità naturali ed ecosostenibili ed in cui non solo tanto la donna quanto l'uomo prendono le loro posizioni/ruoli rispettivamente, ma è proprio l'essere umano come individuo e come società/sistema economico che riconosce ed accetta di avere un posto e dei limiti da rispettare nel contesto della Natura di cui è parte.
In quest'ottica e da questa posizione le donne possono avere moltissimo da insegnare ed i loro diritti e la loro condizione vanno apprezzati e difesi senza riserve ed anzi, in un certo senso, è proprio in questo che consiste gran parte del ruolo che hanno gli uomini.