L'impiego di macchine specializzate in una società agraria e commerciale deve produrre degli effetti tipici. Una società del genere consiste di agricoltori e mercanti che comprano e vendono il prodotto della terra. La produzione con l'aiuto di strumenti e impianti specializzati, elaborati e costosi può essere adattata ad una società di questo tipo soltanto rendendola secondaria rispetto al comprare e al vendere. Il commerciante è la sola persona disponibile per intraprendere tutto questo ed è adatto alla sua realizzazione fino a che questa attività non lo coinvolga in una perdita. Egli venderà le merci allo stesso modo in cui egli le venderebbe altrimenti a coloro che le richiedono; soltanto egli le procurerà in un modo diverso, cioè non acquistandole già prodotte ma acquistando il lavoro e la materia prima necessari. I due elementi messi assieme secondo le istruzioni del commerciante oltre a qualche servizio che egli potrebbe dover intraprendere, danno luogo al nuovo prodotto. Questa non è una descrizione di un'industria di tipo familiare o del lavoro dato a domicilio ma di qualunque tipo di capitalismo industriale incluso quello del nostro tempo. Ne seguono importanti conseguenze per il sistema sociale.
Poiché le macchine complesse sono costose esse non rendono a meno che non vengano prodotte grandi quantità di merci. Esse possono essere fatte funzionare senza che si abbia una perdita soltanto se lo sbocco delle merci è ragionevolmente assicurato e se la produzione non deve essere interrotta per la mancanza delle materie prime necessarie ad alimentare le macchine. Per il commerciante questo significa che tutti i fattori implicati debbono essere in vendita, cioè che essi debbono essere disponibili nelle quantità necessarie a chiunque sia disposto a pagarle. Se questa condizione non è soddisfatta la produzione per mezzo di macchine specializzate è troppo rischiosa per essere intrapresa, tanto dal punto di vista del commerciante che rischia il suo denaro quanto da quello della comunità nel suo complesso che finisce con il dipendere dalla continuità della produzione per i suoi redditi, impieghi e forniture.
In una società agricola tali condizioni non sarebbero date naturalmente, dovrebbero essere create. Che esse vengano create gradualmente non diminuisce in alcun modo il carattere sorprendente dei cambiamenti implicati. La trasformazione implica un cambiamento nelle motivazioni all'azione da parte dei membri della società: al motivo della sussistenza deve essere sostituito quello del guadagno. Tutte le transazioni devono essere trasformate in transazioni monetarie e queste a loro volta richiedono che un mezzo di scambio venga introdotto in ogni articolazione della vita industriale. Tutti i redditi devono derivare dalla vendita di qualcosa e qualunque sia la fonte del reddito di una persona esso deve essere considerato come risultante da una vendita. Niente di meno di tutto questo è implicato dal semplice termine sistema di mercato con il quale designamo la struttura istituzionale descritta, tuttavia la più sorprendente particolarità del sistema sta nel fatto che una volta che esso è istituito, deve essere lasciato funzionare senza influenze esterne.
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La produzione per mezzo della macchina in una società commerciale implica in realtà una trasformazione che può essere paragonata a quella della sostanza naturale ed umana della società, in merci. La conclusione, per quanto macabra, è inevitabile; niente di meno potrà bastare allo scopo: ovviamente lo sconvolgimento causato da questi strumenti spezzerà i rapporti dell'uomo e minaccerà di annientamento il suo ambiente naturale.
Un pericolo del genere è in realtà imminente.
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Un mercato autoregolantesi richiede niente meno che la separazione istituzionale della società in una sfera economica ed una politica. Una simile dicotomia è in realtà la riaffermazione da parte della società come insieme dell'esistenza di un mercato autoregolato. Si potrebbe sostenere che la separazione delle due sfere ha luogo in ogni tipo di società in ogni tempo; un'inferenza del genere tuttavia sarebbe fallace. E' vero che nessuna società può esistere senza un sistema di qualche genere che assicuri l'ordine nella produzione e nella distribuzione delle merci, ma questo non implica l'esistenza di istituzioni economiche separate; normalmente l'ordine economico è semplicemente una funzione dell'ordine sociale nel quale esso è contenuto. Sia nella situazione tribale che in quella feudale o in quella mercantile non esisteva nella società un sistema economico separato. La società del diciannovesimo secolo, nella quale l'attività economica fu isolata ed attribuita ad una particolare motivazione economica, rappresentò in realtà una discontinuità particolare.
Un modello istituzionale di questo genere non potrebbe funzionare se la società non fosse in qualche modo subordinata ai suoi requisiti: un'economia di mercato può esistere soltanto in una società di mercato.
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Un'economia di mercato deve comprendere tutti gli elementi dell'industria compreso il lavoro, la terra e la moneta. (
) Lavoro e terra tuttavia non sono altro che gli esseri umani stessi dai quali è costituita ogni società e l'ambiente naturale nel quale essa esiste. Includerli nel meccanismo di mercato significa subordinare la sostanza della società stessa alle leggi del mercato.
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E' con l'aiuto del concetto di merce che il meccanismo di mercato si collega ai vari elementi della vita industriale. Le merci sono qui definite empiricamente come oggetti prodotti per la vendita sul mercato; i mercati, a loro volta, sono definiti empiricamente come contatti effettivi tra compratori e venditori. Di conseguenza ogni elemento dell'industria viene considerato come prodotto per la vendita poiché allora ed allora soltanto esso sarà soggetto al meccanismo della domanda e dell'offerta che interagisce con il prezzo.
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Il punto cruciale è questo: lavoro, terra e moneta sono elementi essenziali dell'industria; anch'essi debbono anche essere organizzati in mercati poiché formano una parte assolutamente vitale del sistema economico; tuttavia essi non sono ovviamente delle merci, e il postulato per cui tutto ciò che è comprato e venduto deve essere stato prodotto per la vendita è per questi manifestamente falso. In altre parole, secondo la definizione empirica di merce essi non sono delle merci. Il lavoro è soltanto un altro nome per un'attività umana che si accompagna alla vita stessa la quale a sua volta non è prodotta per essere venduta ma per ragioni del tutto diverse, né questo tipo di attività può essere distaccato dal resto della vita, essere accumulato o mobilitato. La terra è soltanto un altro nome per la natura che non è prodotta dall'uomo, la moneta infine è soltanto un simbolo del potere d'acquisto che di regola non è affatto prodotto ma si sviluppa attraverso il meccanismo della banca o della finanza di stato. Nessuno di questi elementi è prodotto per la vendita. La descrizione, quindi, del lavoro, della terra e della moneta come merce è interamente fittizia.
E' nondimeno con il contributo di questa finzione che sono organizzati i mercati del lavoro, della terra e della moneta; questi vengono di fatto comprati e venduti sul mercato, la loro domanda e la loro offerta sono grandezze reali e qualunque misura o iniziativa politica che impedisca la formazione di questi mercati metterebbe ipso facto in pericolo l'autoregolazione del sistema.
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Tuttavia per quanto riguarda lavoro, terra e moneta un tale postulato non può essere sostenuto; permettere al meccanismo di mercato di essere l'unico elemento direttivo del destino degli esseri umani e del loro ambiente naturale e perfino della quantità e dell'impiego del potere d'acquisto porterebbe alla demolizione della società. La presunta merce forza-lavoro non può infatti essere fatta circolare, usata indiscriminatamente e neanche lasciata priva di impiego, senza influire anche sull'individuo umano che risulta essere il portatore di questa merce particolare. Nel disporre della forza-lavoro di un uomo, il sistema disporrebbe tra l'altro dell'entità fisica, psicologica e morale uomo che si collega a questa etichetta. Privati della copertura collettiva delle istituzioni culturali, gli esseri umani perirebbero per gli effetti stessi della società, morirebbero come vittime di una grave disorganizzazione sociale, per vizi, perversioni, crimini e denutrizione. La natura verrebbe ridotta ai suoi elementi, l'ambiente ed il paesaggio deturpati, i fiumi inquinati, la sicurezza militare messa a repentaglio e la capacità di produrre cibo e materie prime, distrutta. Infine, l'amministrazione da parte del mercato del potere d'acquisto liquiderebbe periodicamente le imprese commerciali poiché le carenze e gli eccessi di moneta si dimostrerebbero altrettanto disastrosi per il commercio quanto le alluvioni e la siccità nelle società primitive. Indubbiamente i mercati del lavoro, della terra e della moneta sono essenziali per un'economia di mercato, ma nessuna società potrebbe sopportare gli effetti di un simile sistema di rozze finzioni neanche per il più breve periodo di tempo a meno che la sua sostanza umana e naturale, oltre che la sua organizzazione commerciale, fossero protette dalle distruzioni arrecate da questo diabolico meccanismo.
L'estrema artificiosità dell'economia di mercato si basa sul fatto che il processo di produzione stesso è qui organizzato nella forma della compravendita. Nessun altro modo di organizzare la produzione per il mercato è possibile in una società commerciale.
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Non fu l'avvento della macchina in quanto tale ma l'invenzione di macchinari e di impianti complessi e perciò specifici che cambiò completamente il rapporto del mercante con la produzione. Per quanto la nuova organizzazione produttiva venisse introdotta dal mercante, un fatto questo che determinò l'intero corso della trasformazione, l'impiego di impianti e macchinari complessi portò allo sviluppo del sistema di fabbrica e con esso uno spostamento decisivo nell'importanza relativa del commercio e dell'industria a favore di quest'ultima. La produzione industriale cessò di essere un elemento accessorio del commercio organizzato dal mercante come una questione di compravendita; esso ora implicava investimenti a lungo termine con i rischi ad essi corrispondenti. A meno che la continuità della produzione non venisse ragionevolmente assicurata, un rischio del genere non era sopportabile.
Quanto più complicata diventava la produzione industriale, tanto più numerosi erano gli elementi dell'industria la fornitura dei quali doveva essere salvaguardata. Tre di questi, naturalmente, avevano importanza eccezionale: lavoro, terra e moneta. In una società commerciale la loro offerta avrebbe potuto essere organizzata soltanto in un modo, e cioè rendendoli disponibili per l'acquisto. Essi avrebbero dovuto essere organizzati per la vendita sul mercato, in altri termini come merci. L'estensione del meccanismo del mercato agli elementi dell'industria - lavoro, terra e moneta - era l'inevitabile conseguenza dell'introduzione del sistema di fabbrica in una società commerciale. Gli elementi dell'industria dovevano essere in vendita, e ciò è sinonimo della richiesta di un sistema di mercato. Sappiamo che i profitti sono assicurati in un sistema di questo tipo soltanto se l'autoregolazione è assicurata per mezzo di mercati concorrenziali interdipendenti. Poiché lo sviluppo del sistema di fabbrica era stato organizzato come parte di un processo di compravendita, lavoro, terra e moneta dovevano perciò essere trasformati in merci per permettere alla produzione di continuare. Essi naturalmente non potevano essere veramente trasformati in merci poiché di fatto non erano prodotti per la vendita sul mercato, tuttavia la finzione di questo loro modo di produzione divenne il principio organizzatore della società.
Dei tre elementi uno emerge: lavoro è il termine tecnico usato per gli esseri umani nella misura in cui non sono padroni ma sono invece dipendenti; ne segue che l'organizzazione del lavoro cambierebbe in concomitanza con l'organizzazione del sistema di mercato. Ma poiché l'organizzazione del lavoro è soltanto un'altra parola per designare le forme di vita della gente comune, questo significa che lo sviluppo del sistema di mercato sarebbe accompagnato da un cambiamento nell'organizzazione della società stessa. Nel corso di tutto questo sviluppo la società umana era diventata un accessorio del sistema economico.
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La produzione è un'interazione tra l'uomo e la natura; se questo processo deve essere organizzato attraverso un meccanismo autoregolato di baratto e di scambio, allora l'uomo e la natura devono essere condotti nella sua orbita; essi devono essere soggetti all'offerta e alla domanda, essere cioè trattati come beni, come merci prodotte per la vendita.
Esattamente questa era l'organizzazione in un sistema di mercato. L'uomo sotto il nome di lavoro, la natura sotto il nome di terra erano resi disponibili per la vendita; l'uso della forza-lavoro poteva essere universalmente comprato e venduto a un prezzo che veniva chiamato salario e l'uso della terra poteva essere acquistato a un prezzo che veniva chiamato affitto. Vi era un mercato del lavoro oltre che un mercato della terra e l'offerta e la domanda in ciascuno di essi erano regolate dal livello dei salari e degli affitti; la finzione che il lavoro e la terra fossero prodotti per la vendita veniva coerentemente sostenuta. Il capitale investito in varie combinazioni di lavoro e di terra poteva così scorrere da un ramo della produzione ad un altro così come era richiesto da un livellamento automatico dei guadagni nei vari rami.
Tuttavia se la produzione poteva essere organizzata teoricamente a questo modo, la finzione della merce trascurava il fatto che lasciare il destino della terra e degli uomini al mercato sarebbe stato equivalente al loro annientamento.
Da La grande trasformazione (ed. Einaudi) di Karl Polanyi, 1944