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LIBERISMO

(versione PDF)

- “Non vi era nulla di naturale nel laissez-faire. I mercati liberi non avrebbero mai potuto esistere se si fossero lasciate le cose al loro corso. Così come le manifatture del cotone, la principale industria del libero scambio, furono create con l'aiuto di tariffe protettive, premi di esportazione e sussidi salariali indiretti, lo stesso laissez-faire fu attuato dallo stato. Gli anni trenta e quaranta (del XIX secolo - ndr) videro non soltanto un'esplosione della legislazione che respingeva le regolamentazioni restrittive, ma anche un aumento enorme nelle funzioni amministrative dello stato che veniva ora dotato di una burocrazia centrale in grado di realizzare i compiti posti dai sostenitori del liberalismo. Per l'utilitarista tipico, il liberalismo economico era un progetto sociale che avrebbe dovuto essere attuato per raggiungere la massima felicità per il massimo numero di persone; il laissez-faire non era un metodo per conseguire qualcosa ma era la cosa da conseguire. E' vero che la legislazione non poteva fare nulla direttamente tranne che abrogare delle restrizioni dannose, ma questo non significava che il governo non potesse fare nulla, specialmente in modo indiretto.
(……….)
“La strada verso il libero mercato era aperta ed era tenuta aperta da un enorme aumento in un continuo interventismo centralmente organizzato e controllato.
Rendere la “semplice e naturale libertà” di Adam Smith compatibile con le necessità di una società umana era una questione estremamente complicata. Ne sono testimoni la complessità dei provvedimenti nelle innumerevoli leggi sulle recinzioni, la quantità di controllo burocratico reso necessario nell'amministrazione delle New Poor Laws che per la prima volta dal tempo del regno della regina Elisabetta erano effettivamente controllate dall'autorità centrale, o l'aumento dell'amministrazione governativa implicato nel meritorio compito della riforma municipale. E tuttavia tutte queste roccaforti dell'interferenza governativa venivano erette con l'idea di organizzare qualche semplice libertà, come quella della terra, del lavoro o dell'amministrazione municipale.
Proprio in contraddizione con le aspettative l'invenzione di macchine che richiedevano meno manodopera non aveva diminuito, ma in realtà aveva accresciuto l'impiego di lavoro umano e l'introduzione di mercati liberi lungi dall'eliminare la necessità di controllo, regolamentazione ed intervento, ne aveva enormemente accresciuto la portata. Gli amministratori dovevano stare costantemente all'erta per assicurare il libero funzionamento del sistema. Così anche coloro che più ardentemente desideravano liberare lo stato da tutti gli obblighi non necessari, e tutta la filosofia dei quali richiedeva la limitazione delle attività dello stato, non potevano far altro che affidare allo stato stesso i nuovi poteri, organi e strumenti richiesti per l'applicazione del laissez-faire”.
(……..)

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- “In un certo senso tutti i mercati sono sempre autoregolati poiché tendono a produrre un prezzo che consenta di vendere quanto è disponibile sul mercato; ma questo è vero per tutti mercati, siano essi liberi o meno. Tuttavia, come abbiamo visto, un sistema di mercato autoregolato implica qualcosa di molto diverso e cioè dei mercati per i fattori produttivi, lavoro, terra e moneta. Poiché il funzionamento di mercati di questo tipo minaccia di distruggere la società, l'azione autoconservatrice della comunità era intesa a prevenire la loro istituzione o a interferire nel loro libero funzionamento una volta che erano istituiti.
L'America è stata portata dagli economisti liberali come prova conclusiva della capacità di funzionare di un'economia di mercato. Per un secolo lavoro, terra e moneta furono scambiati negli Stati Uniti in completa libertà, né, si dice, furono necessarie misure di protezione sociale e, a parte le tariffe doganali, la vita industriale continuò senza essere disturbata da interferenze pubbliche.
La spiegazione, naturalmente, è semplice: lavoro, terra e moneta erano liberamente disponibili. Fino agli anni '890 la frontiera era aperta e vi era ancora terra libera; fino alla grande guerra l'offerta di lavoro di basso livello scorreva liberamente; e fino alla fine del secolo non vi fu impegno a mantenere stabili i cambi esteri. Una libera offerta di terra, lavoro e moneta continuava ad essere disponibile; di conseguenza non esisteva un sistema di mercato autoregolato. Fino a che queste condizioni sussistevano, né l'uomo, né la natura, né l'organizzazione economica avevano bisogno di quel tipo di protezione che soltanto l'intervento pubblico può fornire.
Non appena queste condizioni cessarono di esistere, intervenne la protezione sociale. (….)
L'America offriva così una prova sorprendente tanto positiva che negativa della nostra tesi per cui la protezione sociale era l'accompagnamento di un mercato che si supponeva autoregolato”.
(………)

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- “Al contrario degli uomini e delle merci, la moneta era libera da ogni misura che le impediva i movimenti e continuava a sviluppare la propria capacità di condurre transazioni commerciali in qualsiasi luogo ed in qualsiasi momento. Quanto più difficile diventava spostare degli oggetti, tanto più facile era trasmettere diritti su di essi. Mentre lo scambio di beni e di servizi era rallentato ed il suo equilibrio oscillava precariamente, la bilancia dei pagamenti rimaneva quasi automaticamente liquida grazie anche a prestiti a breve termine che si intrecciavano su tutto il globo e operazioni di rimborso che tenevano conto soltanto in piccola parte dello scambio visibile. Pagamenti, debiti e crediti rimanevano immuni dalle barriere sempre crescenti erette contro lo scambio delle merci. L'elasticità e l'universalità rapidamente crescenti del meccanismo monetario internazionale compensavano in certo senso i canali sempre contratti del commercio mondiale.
Quando, agli inizi degli anni trenta, il commercio mondiale era ridotto a un flusso esiguo, i prestiti internazionali a lungo termine raggiunsero un grado di mobilità senza precedenti. Fino a che funzionava il meccanismo dei movimenti internazionali del capitale e dei crediti a breve termine nessuno squilibrio nel commercio reale era troppo grave da non potere essere superato con metodi di contabilità. Lo sconvolgimento sociale veniva evitato col ricorso al credito; lo squilibrio economico veniva corretto con mezzi finanziari.
Alla fine la crisi dell'autoregolazione del mercato condusse all'intervento politico. Quando il ciclo commerciale non riuscì a concludersi ripristinando i livelli di occupazione, quando le importazioni non riuscirono a produrre esportazioni, quando la regolazione delle riserve bancarie minacciò l'attività economica con una crisi di panico, quando i debitori esteri si rifiutarono di pagare, i governi dovettero rispondere a questa tensione. (……). Fino a che vi fu piena occupazione, i redditi furono sicuri, la produzione continua, i livelli di vita accettabili ed i prezzi stabili, la pressione all'intervento fu naturalmente minore di quella che diventò quando crolli prolungati fecero dell'industria una rovina di strumenti non adoperati e di sforzi frustrati.
Anche internazionalmente i metodi politici furono adoperati per sopperire alla imperfetta autoregolazione del mercato. La teoria ricardiana del commercio e della moneta ignorava invano la differenza di situazione che esisteva tra i vari paesi a causa della loro diversa capacità di produrre ricchezza, delle capacità di esportare, dell'esperienza commerciale, mercantile e bancaria. Per la teoria liberale la Gran Bretagna era semplicemente un altro atomo nell'universo del commercio e si collocava esattamente sullo stesso piano della Danimarca e del Guatemala. In realtà vi era un numero determinato di paesi che si distinguevano in paesi che concedevano prestiti e paesi che li ricevevano, in paesi esportatori e praticamente autosufficienti, paesi con esportazioni di vario tipo e altri che dipendevano per le importazioni e i prestiti dalla vendita di un unico bene come il frumento o il caffé. Differenze come queste non potevano essere ignorate dalla teoria, né le loro conseguenze potevano essere ignorate nella pratica. Spesso i paesi d'oltremare si trovavano nell'incapacità di far fronte ai loro debiti esteri oppure le loro monete si deprezzavano mettendo in pericolo la loro solvibilità. Talvolta essi decidevano di correggere la bilancia dei pagamenti con mezzi politici ed interferivano nelle proprietà degli investitori esteri. In nessuno di questi casi si poteva fare affidamento sui processi autonomi di assestamento economico, anche se secondo la dottrina classica quei processi avrebbero inevitabilmente rimborsato il creditore, risanato la moneta e salvaguardato gli stranieri dal ripetersi di simili perdite. Questo avrebbe tuttavia richiesto che i paesi in questione fossero stati partecipanti più o meno uguali di un sistema di divisione mondale del lavoro e tale non era evidentemente il caso. Era inutile attendersi che invariabilmente il paese la cui moneta cadeva avrebbe automaticamente aumentato le esportazioni e pareggiato quindi la bilancia dei pagamenti o che la sua necessità di capitale estero lo avrebbe costretto a compensare gli stranieri e a riassumersi i propri debiti. L'aumento delle vendite di caffé o di nitrati, ad esempio, avrebbe potuto risollevare il mercato e l'annullamento di un pesante debito estero sarebbe apparso preferibile ad una svalutazione della moneta nazionale. Il meccanismo del mercato mondiale non poteva accettare di correre tali rischi. Navi da guerra venivano inviate sul luogo e il governo che stava facendo bancarotta, fraudolenta o meno, si trovava di fronte all'alternativa del bombardamento o dell'accordo. Non vi era alcun altro modo disponibile per costringere ai pagamenti, evitare gravi perdite e mantenere il sistema in funzione. Una pratica del genere veniva impiegata per indurre i popoli coloniali a riconoscere i vantaggi del commercio quando l'argomento teoricamente impeccabile del vantaggio reciproco non era sollecitamente, o forse non era affatto, afferrato dagli indigeni. Ancora più evidente era la necessità dei metodi di intervento, se la regione in questione era ricca di materie prime necessarie all'industria europea, mentre nessun'armonia prestabilita assicurava l'emergere di un particolare interesse per le manifatture europee da parte degli indigeni le cui necessità naturali avevano precedentemente preso una direzione completamente diversa.
Naturalmente nessuna di queste difficoltà avrebbe dovuto presentarsi in un sistema che si supponeva autoregolato; tuttavia quanto più spesso i pagamenti venivano fatti soltanto dietro la minaccia dell'intervento armato, e le vie commerciali erano mantenute aperte soltanto con l'aiuto delle cannoniere, tanto più spesso il commercio seguiva la bandiera mentre la bandiera seguiva le necessità dei governi invasori e tanto più evidente diventava il fatto che degli strumenti politici dovessero essere impiegati per mantenere l'equilibrio in un'economia mondiale.




Da “La grande trasformazione” (ed. Einaudi) di Karl Polanyi, 1944

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