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OPINIONE PUBBLICA

La propaganda non è appannaggio delle dittature: le tecniche pubblicitarie vennero applicate per la prima volta ai mass-media durante la prima guerra mondiale in paesi democratici come Francia, Inghilterra e Stati Uniti. In seguito, l'accesso delle masse alla partecipazione politica ha reso inevitabili queste tecniche. Si dà per scontato che il governo democratico sia nato dall'opinione, e che traduca in atti politici le indicazioni che questa gli fornisce (la democrazia poggia sull'idea che l'uomo, essendo un essere ragionevole, sia in grado di discernere il proprio interesse). Ma si sa che l'opinione pubblica è terribilmente variabile, fluttuante, irrazionale. E lo Stato dovrebbe obbedire all'opinione pubblica, seguirla? Impossibile. Perché dovrebbe cambiare politica tanto velocemente quanto cambia l'opinione e si esporrebbe a tutti i rischi di irrazionalità. Essendo diventato un organismo enorme incaricato di operazioni tecniche formidabili, alcune delle quali richiedono anni e somme inaudite (Ariane, TGV, il nucleare, ecc…), non può permettersi fantasie del genere: “Né all'inizio, perché l'opinione non è preparata sull'argomento, né in seguito, perché una volta che l'impresa tecnica è stata avviata, non è possibile tornare indietro. Quando si intraprende la politica del petrolio del Sahara o il piano di elettrificazione non c'è ombra di considerazione dell'opinione pubblica”. La decisione anticipa l'opinione. “Dobbiamo quindi concludere che anche in democrazia, un governo onesto, serio, non abusivo, rispettoso dell'elettore, non può attenersi all'opinione pubblica”. C'è solo una soluzione: “Dato che il governo non può seguire l'opinione pubblica, bisogna che sia questa a seguire il governo”. Lo Stato democratico deve dunque arginare e formare l'opinione pubblica. Informarla di ciò che fa, “cosa perfettamente legittima”, ma “non è possibile attenersi all'informazione freddamente oggettiva, bisogna arringare”. Lo Stato deve infondere nei cittadini la sensazione di aver voluto quelle decisioni. Ecco il ruolo della propaganda.
Si ribatterà che fortunatamente, in democrazia, il pluralismo garantisce la diffusione di idee contraddittorie tra le quali l'individuo può scegliere a piacimento. Primo, risponde Ellul, non bisogna sopravvalutare l'importanza della diversità delle opinioni. Tutte le democrazie vanno incontro allo stesso fenomeno: l'accaparramento dei mezzi di informazione da parte di una manciata di grandi gruppi privati. Tutti sanno che in Francia pochi mastodonti controllano la quasi totalità dei media di massa: i venditori di armi Matra-Hachette e Dessault, il venditore di cemento Bouygues… Di fronte a loro il cittadino è indifeso. Quando nel XIX secolo si parlava di libertà di informazione, “si intendeva la libertà individuale di informare, attraverso qualsiasi mezzo si ritenesse adeguato allo scopo, e ci si aspettava che il 'potere pubblico' non intervenisse”. Oggi si parla della libertà di essere informati, o del diritto di essere informati: l'individuo è diventato passivo, non ha i mezzi per diffondere le informazioni (Internet ha cambiato le cose, ma quale paragone ci può essere tra un sito individuale sulla rete e gli schiaccianti mezzi dell'informazione di massa?).
Secondo, afferma Ellul, non è grazie all'intrecciarsi di molteplici propagande contraddittorie che in democrazia il cittadino esce vincitore. La propaganda non ha nulla del dibattito onesto e rispettoso: poggia su tecniche psicologiche volte a manipolare il subconscio delle folle, cerca di sopprimere lo spirito critico e di creare passioni collettive, dipende dal condizionamento di massa. “Pertanto, la speranza riposta nella propaganda consiste in questo: un uomo riceve un pugno in faccia dal vicino di destra; fortunatamente, quel pugno sarà compensato da un secondo pugno in faccia datogli dal vicino di sinistra”. Energicamente massaggiato da queste due propagande, l'individuo finisce per rifugiarsi nella passività o nell'impegno non ragionato, reazioni che non hanno nulla di democratico. La propaganda finisce quindi per creare un uomo che vive in un regime democratico ma non è libero: è “privato degli elementi che costituiscono la democrazia stessa: lo stile di vita democratico, la comprensione degli altri, il rispetto delle minoranze, il riesame delle proprie opinioni, l'assenza di dogmatismi”. E' un “uomo totalitario a convinzione democratica”.


Tratto da
“Jacques Ellul, l'uomo che aveva previsto (quasi) tutto”

di Jean-Luc Porquet, edito da Jaca Book

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