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"GOMORRA" di ROBERTO SAVIANO

In sintesi...
La dimensione mentale in cui sembrano vivere i personaggi del libro di Saviano, i camorristi, appare quella di una assurda pazzia egoica. Una pazzia distruttiva che andrebbe combattuta e spazzata via come in una vera guerra. Ma perché , nonostante il lavoro generoso portato anche fino al sacrificio della propria vita da parte di alcuni individui, questo non avviene? Perché il sistema economico e di potere in cui viviamo ha strutturalmente bisogno di un lato oscuro che si incarichi dei suoi aspetti non-presentabili sia in alto, gestendo quegli affari che son tanto più lucrosi quanto più rimangono occulti, sia in basso, organizzando e controllando quell'economia informale unica possibilità per gli esclusi dal sistema stesso. Questo lato oscuro, l'economia criminale, è spesso la continuazione di quella legale con altri mezzi, è parte necessaria e integrante non scindibile dal lato scoperto del sistema e non solo in Italia, ma nel sistema-mondo.
Così necessaria come sanno coloro che dal basso la sostengono, vi partecipano, si illudono perfino di trovarvi un'identità, un surrogato di valori, un mito di riscatto.
E' la versione rinnegata del mito del successo che permea questa società, anche nel suo lato buio.
E che spinge ognuno alla sua guerra contro tutti verso la stessa illusione.
Una guerra che va disertata.

(versione PDF)


Ho appena finito di leggere il libro di Saviano. Non so bene che dire. Lui è certamente una persona coraggiosa e da ammirare se è stato disposto a mettere a repentaglio la propria vita fino a dover vivere sotto scorta per non rinunciare alla sua battaglia.
A dire il vero non amo molto lo stile di scrittura, così duro e metropolitano. Francamente in questi toni ci trovo sempre un sottile autocompiacimento per il vivere come in trincea in un ambiente estremo, snaturato, e non riesco a riconoscermici.... ma questa in fondo è solo una questione di gusti personali, e comunque irrilevante di fronte al coraggio dell'opera.

Racconta di una realtà sociale, di dimensioni umane, che obiettivamente non conosco e che per mia fortuna mi sono lontanissime, per cui in realtà non posso parlarne altro che prendendone spunto per riflessioni più ampie.
La cosa che salta più agli occhi, per quanto mi riguarda, è la vita, i comportamenti, la mentalità di questi personaggi, i boss a vario livello, gli aspiranti tali e la loro manovalanza più spietata, i killer, per i quali uccidere esseri umani è un mestiere come un altro. Mi appaiono come gente che non capisco e che non mi interessa capire, certo esseri umani anch'essi, a modo loro, ma un modo col quale non vedo punti di contatto: al di là dell'appartenenza alla stessa specie zoologica come fatto di classificazione scientifica non vedo cosa potremmo avere in comune. Gente che distrugge la propria vita e quella altrui, l'ambiente naturale ed umano che gli sta intorno, che sa vedere tutto e tutti, compresi sè stessi, solo come un mezzo per raggiungere le proprie smisurate ambizioni di farsi collezioni di automobili e di ogni altra sorta di oggetti da buttar poi via uno dopo l'altro per cercarne altri ancora, costruirsi mausolei di ville dove non potranno vivere perchè intanto saranno già stati ammazzati - e spesso da chi credevano amico - o in latitanza nascosti in un buco sotto terra. Gente che prepara lo stesso destino ai propri figli e ai figli dei figli e lo considera motivo di vanto e di onore. Non li riesco a capire.
Per il modo in cui vedo le cose io, umanamente mi sembrano in fondo solo dei poveracci sofferenti, dei disperati le cui profonde ferite nell'orgoglio, subite appena entrati in contatto con la jungla umana intorno a loro, li hanno segnati in modo tale che nulla basterà mai a compensare. Dei poveracci per cui non posso sentir pietà però.

Certo, in realtà alla base della mente umana funzionano gli stessi meccanismi per tutti, per cui in fondo in fondo siamo tutti in origine espressione della stessa sorgente, anche i camorristi, ed anche i killer. Ma nel vivere corrente è proprio per questo che non si possono riconoscere punti di contatto, possibilità di dialogo: non in assoluto, ma fintanto che permane la situazione di fatto ovvero fintanto che loro sono quello che sono, agiscono come agiscono, svolgono nel mondo il ruolo che svolgono. Dovranno smettere o essere costretti a smettere, riconoscere ciò che hanno fatto e pagare e solo allora essere tutti esseri umani avrà di nuovo un senso.
Perchè la nostra realtà non è solo il principio assoluto (nel quale tutti siamo Uno), perché questo principio, detto così, sarebbe solo un'idea. In verità vive in noi e dargli forma è la nostra e la Sua vita ed è in questa vita che è reale; questa vita in cui si fanno delle scelte.
Le azioni danno frutti e portano conseguenze: la “punizione” è già nell'atto, anche se si manifesterà anni dopo nella forma esteriore in cui potrà vederla anche chi gli è cieco. Bisogna che chi è attaccato ai propri errori distruttivi rimanga isolato dentro di essi, che li veda per bene e si accorga di esserne avvelenato.
Nell'iconografia buddhista tibetana la dimensione mentale di queste persone è descritta come quella degli Spiriti Infernali, dominati dall'ira. Il mondo come lo vedono intorno a sè è pervaso dalle fiamme di un incendio infinito, da ferite aperte e fiumi di sangue e di pus. Tutto ciò che toccano diventa sofferenza. Ed è illustrata anche nel regno successivo, quello dei Preta, gli Spiriti Affamati, dominati dall'avidità. Hanno uno stomaco enorme, insaziabile, ed una bocca piccolissima e non ne hanno mai abbastanza, non possono trovar soddisfazione.
Questa gente assetata in modo insanabile di ricchezza e potere, in mezzo a tutto il lusso che gli fruttano i loro traffici non fa che esprimere il marchio di una miseria atavica interiorizzata e inconsolabile. Non possono immaginare che ricco non è chi ha, ma chi non ha bisogno.
O forse sono solo io che non li capisco perchè ho avuto la fortuna di una storia diversa e chi sa cos'avrei fatto se fossi stato al posto loro ecc... Certo. Sarà senz'altro vero anche questo.
Ma non è che si può capire tutto e tutti al mondo, specie ciò che non ci suscita nessun fascino nè curiosità, forse neanche come caso antropologico. Si vorrebbe poter dire che su questa terra c'è spazio per tutti e non c'è bisogno di capire ognuno per accettare che esista a modo suo.
Benissimo.
Infatti.
Ma il problema è che queste persone distruggono la vita e le condizioni di vita di moltissime altre, che, per molti giovani che li emulano e che li sostituiranno dando futuro a questo “Sistema” camorristico, sono un modello assoluto... e forse è già questo il fatto più grave, il fatto più triste ed assurdo: che gente così possa anche essere ammirata da qualcuno.

In realtà credo che, stando le cose come stanno ovvero dato il persistere dei loro comportamenti distruttivi a tutto tondo e delle loro oppressive strutture di potere, l'unico tipo di approccio che sia davvero utile avere verso il problema dell'esistenza di queste persone stia sul piano militare: queste persone, il loro potere, vanno combattute e ridotte in condizione di non nuocere con ogni mezzo necessario. Pur sperando sempre che si decidano da sè a cambiare.
Non vedo dove sia lo scandalo quando si parla dell'uso dell'esercito contro la criminalità organizzata: quando si è arrivati a livelli tali di occupazione del territorio e della sua gestione ci si trova di fronte a una situazione equivalente all'invasione da parte di un esercito straniero e così andrebbe trattata. L'impiego dell'esercito non dovrebbe limitarsi ad una mera funzione di presidio delle strade, ma dovrebbe svolgere vere azioni di guerra. Si sa quali e dove sono le famiglie dei boss, le persone e le strutture che svolgono ruoli decisivi nei clan e nelle loro attività: bisognerebbe andare e metterle in condizione di non nuocere, colpirle se serve, senza remore.
Lo Stato deve rimanere nei limiti di legge? Bene, ma esistono anche le leggi in stato di guerra e comunque le leggi si cambiano pure, magari limitatatmente a situazioni particolari (ne hanno fatte ad hoc a favore di qualcuno, non possono farne ad hoc contro qualcuno?).
Non dico che bisognerebbe istituire la pena di morte, che sarebbe una vendetta a sangue freddo (e poi tanto i camorristi lo sanno già che alla loro morte naturale probabilmente non ci arriveranno comunque): dico che si dovrebbero fare azioni militari mirate a colpire i capi e chi gli è vicino e togliergli ciò che gli è necessario per le proprie attività (parlo delle persone-chiave ovviamente, non sto parlando della vasta massa di affiliati, collaboratori e potenziali tali, chè se no sarebbe una guerra civile). E dico che in questi casi si dovrebbe guardare al risultato, anche momentaneamente sospendendo alcuni dei diritti civili quali la presunzione di innocenza fino alle prove, quando le cose in realtà si sanno ma formalmente non si possono ancora dimostrare a livello processuale.
Bisognererbbe prima ottenere delle sostanziali vittorie sul campo neutralizzando la dirigenza delle organizzazioni - e , limitatamente a questo livello, bisognerebbe andare dritti allo scopo senza guardare tanto per il sottile durante le azioni - e, una volta ottenuto questo risultato, si dovrebbe tornare ad un trattamento normale, sia con chi è stato assicurato al carcere che con chi, nei livelli secondari delle organizzazioni, ancora è fuori, con tutti i diritti civili ecc...
Sono certo che i primi a riconoscere che questo sarebbe il comportamento appropriato da parte di chiunque verso un nemico sarebbero gli stessi boss, anzi, lo troverebbero perfino troppo generoso, dato che loro non usano fare prigionieri. Inoltre, e forse soprattutto, in questo modo si potrebbe dimostrare che nessuno è onnipotente, nè eterno, nè intoccabile, nè per sempre il più forte, nè lo è da solo, nè lo sarebbe stato senza il sostegno dei tanti a lui sottoposti e che in fondo sceglievano di esserlo.

Solo che questo è un compito che spetta allo Stato. Allo Stato e a nessun altro, perchè è lo Stato che ha e deve avere il monopolio della violenza.
Ma lo Stato deve essere in condizione di potersele permettere le proprie azioni violente quando sono inevitabili. Vuol dire che alternative alla violenza il nemico doveva averle - e quanto a questo ce le ha - ma anche chi lo sostiene deve averne alla connivenza e alle briciole che i capi lasciano cascare.
Perchè è chiaro: se strutture diffuse e radicate come la Camorra e le altre forme analoghe della criminalità organizzata sono così difficili da estirpare è perchè sono veramente un “Sistema”, perchè svolgono una reale funzione sociale, perchè molta gente nelle zone dominate dal loro controllo sente che è un bene per loro che ci siano o, almeno, un male minore, ed un male più comprensibile, più familiare, più accettabile. Un male che parla la stessa lingua, ben conosciuta, ben compresa, che dice cose chiare, su cui ci si può contare, come sugli effetti di un colpo di pistola.
Bisogna essere in condizione di poter dare qualcosa in cambio di altrettanto chiaro, di solido, comprensibile: parole e valori non bastano. Non possono bastare.
Il punto è che lo Stato non agisce in modo risolutivo, come farebbe in guerra, perchè non se lo può permettere: cosa ci sarebbe il giorno dopo che il sistema criminale organizzato fosse stato eliminato? Cosa c'era negli spazi che questo sistema ha potuto occupare?
Non è solo il fatto, pure presente ed importante, di molti singoli politici ed amministratori, funzionari statali e delle forze dell'ordine e della magistratura che sono risultati collusi con i clan e di quelli che ancora verranno scoperti. Questa è certamente una realtà ed un problema, ma fino a che livello dell'amministrazione pubblica nazionale bisogna risalire per trovare dove si possano prendere ed applicare le decisioni necessarie per rendere più conveniente essere leali con lo Stato che con i suoi nemici, almeno da parte di chi per lo Stato ci lavora?
Il che significa pure , ovviamente, chiedersi fino a quali livelli e a quanta parte d'Italia arrivino gli interessi a lasciar correre. Al di là delle periodiche e meritorie operazioni parziali dovute a poliziotti, carabinieri e magistrati che fanno comunque coraggiosamente il loro lavoro (e di altre talvolta anche solo di facciata). Perché, al di là di queste, l'impressione è che, nel lungo periodo, e nei fatti, il ruolo delle forze dello Stato sia più quello di contenere in proporzioni compatibili (se non addirittura funzionali) le attività criminali organizzate che di puntare ad un loro definitivo sradicamento.
Il problema vero è una collusione che va molto al di là della corruzione individuale di singoli ed imprese. Una collusione strutturale e necessaria, una collusione di sistema.
Ce ne fa un chiaro esempio Saviano nel capitolo sulle discariche abusive: quanta parte dell'economia nazionale sarebbe colpita se tutte le imprese, e perfino le amministrazioni pubbliche che non lo fanno fossero davvero costrette a smaltire i propri rifiuti, anche tossici, in modo legale? Quanti bilanci aziendali potrebbero sopportarlo? Quali conseguenze per i livelli di occupazione in Italia, anche molto lontano dal Sud? Quali ulteriori conflitti sociali, e dove? Che probabilità di aumento e diffusione di una criminalità “di sussistenza”? E quanto necessario diventerebbe allora che ci fosse qualcuno a “governarla” dall'interno per evitare almeno il caos generalizzato?

Se i beni di consumo costano meno al Sud permettendo a molte famiglie disagiate di tirare avanti; se comunque un livello numericamente accettabile di occupazione (legale e al nero) in Italia si mantiene (tanto che comunque continuano ad arrivare immigrati); se l'industria tessile e manifatturiera italiana ancora non è stata del tutto travolta nonostante non ci sia partita nella competizione con la Cina; se ancora si conta di poter immaginare un futuro tecnico-industriale senza investimenti pubblici nella ricerca; se ancora i conflitti sociali non esplodono in modo veramente drammatico, non hanno in tutto questo una parte fondamentale gli immensi sistemi di criminalità organizzata che riescono a calmierare i costi di produzione (soprattutto a partire dalla manodopera) permettendo a gran parte delle attività economiche (sia ad esse direttamente legate che da esse in vario modo favorite) di eludere le leggi e rimanere possibili ancora in Italia, pur in un mondo globalizzato che offrirebbe alternative convenienti?
Lo Stato, in quanto reggente e garante in funzione di questo sistema economico, potrebbe davvero permettersi di fare a meno della parte svolta dalle organizzazioni criminali nell'economia nazionale? Cosa gli racconterebbe alle operaie a pochi euro l'ora al nero nelle fabbrichette d'abbigliamento abusive dei comuni campani se il loro padrone dovesse chiudere perchè il laboratorio non è in regola nel momento in cui nessuno chiude più un occhio? E ai metalmeccanici, ai petrolchimici del nord quando, dovendo pagare per lo smaltimento corretto dei fanghi di scarto, all'azienda conviene di più spostarsi in Nigeria?
Lo Stato potrebbe realmente fare a meno (qualora chi è ai vertici del potere politico davvero lo volesse) del ruolo di chi tiene il Sud in una cronica condizione di sottosviluppo?
Se la valanga di miliardi spesi per il sostegno al Mezzogiorno nel corso di decenni non hanno sortito risultati è stato davvero perchè le varie mafie lo hanno impedito? O invece la questione meridionale era proprio mantenuta lì a bella posta per foraggiare le varie consorterie politico/imprenditoriali - che costituivano la faccia in ombra, ma altrettanto fondamentale, dell'economia italiana - che preferivano investire altrove nel nostro paese (ed anche all'estero)?
Mazzini disse che l'Italia sarebbe stata ciò che sarebbe stato il suo Sud. Io non conosco abbastanza il suo pensiero per dire quali fossero le ragioni che lui vedeva dietro questa affermazione. Ciò che a me fa pensare, però, è che, non avendo l'Italia avuto un vero impero coloniale a differenza delle (altre?) potenze europee - almeno non sufficiente a far da volano alla prima evoluzione capitalistica - non potendo godere dopo la “fine” del colonialismo di rapporti privilegiati con le elites locali delle ex-colonie per lo sfruttamento di una adeguata rete di paesi, è stata una parte dell'Italia stessa a dover rimanere come la propria principale colonia. A svolgere il ruolo di fonte e serbatoio di manodopera e risorse a basso costo, a restare territorio sublegalizzato in cui si potevano usare metodi non ortodossi per far girare le cose secondo gli interessi dei potenti senza troppi intoppi, in una sorta di proto-iper-liberismo ante litteram. In questo senso le varie organizzazioni mafiose locali avrebbero svolto il ruolo che altrove nel mondo hanno rivestito i Bokassa, i Mobutu, i Siad Barre e i Pinochet di turno (e infatti è stato con Cosa Nostra che gli USA hanno trattato per il futuro della Sicilia alla fine della guerra).
Forse perciò la profezia di Mazzini si può intendere nel senso che finchè l'Italia avesse avuto bisogno di tenere metà del suo territorio in condizioni di colonia non sarebbe mai stata una nazione al pari degli altri grandi Stati europei. Non avrebbe mai maturato complessivamente quel senso dello Stato, quell'efficienza “di sistema”.

Siamo in realtà un paese che vive al di sopra delle sue possibilità o, almeno, al di sopra delle sue reali condizioni attuali: che fa come se avesse più di ciò che ha e che parla come se fosse più di ciò che è. Il paese dell'apparire.
Non a caso siamo famosi per la moda.
Siamo un paese nel quale in qualsiasi consesso politico basta pronunciare il nome di Falcone e Borsellino per suscitare all'istante scrosci di applausi (provenienti spesso anche dalle mani di gente condannata per vari reati - e qualcuno pure in odore di mafia - come quando ciò avviene ad esempio anche in Parlamento). In questo stesso paese però - e senza parlare qui della serie di stragi impunite che costellano la nostra storia - fa scandalo il libro di Saviano per raccontare fatti della Campania, atti giudiziari e meccanismi economici e di controllo sociale, che la gente di quei luoghi ben conosce come realtà quotidiana,. E altrettanto la conoscono i politici locali, e con loro i magistrati e i poliziotti mentre i principali responsabili, noti a tutti con nomi e cognomi, se ne vanno in giro a piede libero e mano armata. (Si può davvero rimanere latitanti per decine di anni nel proprio paese natale?)

Siamo una nazione in cui la Destra ora al governo - che peraltro ha storicamente accolto nelle sue file numerosi candidati sostenuti elettoralmente da chi ben si sa che non fa niente per niente e a volte andati pure sottoprocesso - ha buon gioco a richiamarsi all'ordine, dato che è un argomento che la Sinistra gli ha gratuitamente lasciato a disposizione. Solo che, ben lungi dal voler rischiare di perdere il sostegno elettorale di cui sopra (e a buon conto anche la pelle) questi politici di Destra, all'atto pratico mostrano di volersi limitare a soddisfare la fame di sicurezza e di legalità diffuse dando in pasto il capro espiatorio di turno: lo straniero, l'immigrato, il Rom, il marginale sul quale permettere alla gente più esasperata di sfogarsi. Dimenticando così le bastonate che quotidianamente si prende, senza riconoscere bene da dove arrivano, ben più pesanti di quelle che gli vien concesso di dare a chi è appena arrivato e quindi è più debole, e che è in definitiva irrilevante rispetto ai veri problemi in questione.
Siamo un paese in cui la ex-Sinistra buonista (il cui governo è caduto dopo che un magistrato meridionale, rimasto politicamente isolato, ha avviato un'inchiesta per abuso della propria posizione da parte dell'allora ministro della Giustizia) davanti all'occupazione criminale del territorio non sa far altro che indignarsi e poi ancora indignarsi e farfugliare di “battaglia culturale”, di educazione alla legalità nelle scuole, di capire il contesto e riconoscere tutti a vario titolo come vittime di uno stesso sistema di violenza. Tutte cose che hanno anche un senso, ok, ma la sociologia può andar bene nel momento del “prima” e in quello del “dopo”, però a un certo punto ci vuole pure quello del “dunque”. Oppure anche la criminalità organizzata deve diventare una nuova risorsa per far lavorare chi si occupa di convegni, conferenze, centri studi, ricerche e libri vari?
Se è vero che a forza di raccontare agli italiani che basta esser belli, sorridenti ed ambiziosi e poi il resto verrà da sé, Berlusconi è riuscito a fargli credere che ciò sia vero, non è affatto detto che Veltroni farà spostare le montagne a forza di dire che le si può convincere chiedendoglielo perfavore.

Ma capiamoci bene: a cosa si pensa quando si dice che vittima e carnefice sono vittime entrambi? Perchè di male comune in male comune si finisce per credere al diavolo. Basta spostare sempre al di là, all'esterno rispetto al potenziale elettore, la causa di tutti i mali: la Destra lo fa additando lo straniero, un fuoricasta (almeno finchè non avrà diritto di voto - basta non darglielo -... può funzionare); la ex-Sinistra rimandando sempre un pò più in là il bersaglio per non trovarsi mai a dover identificare il target di una battaglia politica autentica. Non ce se la può più prendere con le potenze straniere imperialiste perchè ne siamo alleati o partner commerciali; con gli avversari politici neanche perchè, appunto, ora siamo avversari e non più nemici; i “delinquenti” bisogna lasciarli alla Destra perchè non sarebbe politicamente corretto… E soprattutto non sia mai che si voglia mettere il cittadino comune davanti alle sue responsabilità. Oggi che i partiti sono imprese ed aziende di servizi l'elettore è un cliente e il cliente, si sa, ha sempre ragione.

Ma vediamolo davvero come vanno le cose: la gente comune è vittima della Camorra? Ok, certamente lo è, ma che rapporto c'è tra la vittima e il carnefice? Cosa significa quando la popolazione scende per strada a combattere contro la polizia per salvare i camorristi? Saranno tutti loro parenti quelli che insorgono? Non credo. Forse sono piuttosto a loro volta clienti, o dipendenti, e forse si sentono più tutelati così di quanto potrebbero esserlo dai partiti. Non è questa la dimostrazione chiara di un sostegno popolare? Non è forse la prova che le organizzazioni criminali, piaccia o no, svolgono una funzione sociale che molti trovano utile in queste zone?
Se ci sono quartieri dove la polizia non entra è perchè sa di avere tutto il quartiere contro.
Allora ben venga pure la sociologia, ma anche quando ci dice ciò che non ci piace sentire, però: forse bisogna riconoscere che ci sono zone, anche in Italia, dove ci si fida e ci si riconosce più in codici di comportamento, regole, leggi e strutture di potere di natura pre-moderna, locale, familistica, quasi tribale, che di quelle che lo Stato non è mai riuscito definitivamente a far attecchire.
Qualcuno ha detto che Napoli è l'unica città orientale senza un quartiere europeo (o qualcosa del genere). In effetti ci si respira un'atmosfera affascinante di tipo esotico rispetto al resto d'Italia. La gente di Napoli è famosa per avere ancora qualcosa che altrove si è perso e quando gli stranieri pensano al loro modello - anche un pò macchiettistico - di italiano per antonomasia noi capiamo che pensano a un napoletano.
Forse ciò che appare esotico oggi in Napoli è qualcosa di essenzialmente italiano che altrove è stato travolto da quello sviluppo che qui è stato negato.
Forse è appunto per questo, che la modernizzazione definitiva, l'occidentalizzazione, qui non si è ancora del tutto compiuta. Forse, dalla collocazione “coloniale” del Sud all'interno del quadro italiano, molti “indigeni” continuano a sentirsi indipendenti e a riconoscere autorità ai loro “capi tribali” piuttosto che ai distanti burocrati di un sistema che rimane estraneo e che non ha mai veramente dimostrato di voler essere meno sfruttatore e più affidabile dei boss locali. Tipo: “io a Tale e Tale li conosco, so come comportarmi o meno. Cosa vogliono vendermi quest'altri qua?”
I clan camorristi parlano la stessa lingua della gente, sono espressione della stessa cultura - una delle espressioni possibili - e seguono la stessa religione - che non direi Cattolicesimo, ma forse “Santismo” o “Madonnismo”: il santino come espressione quintessenziale del divino. Che è sempre con te e ti accompagna materialmente in tutte le tue attività quotidiane, quali che siano, meglio se infilato dentro al portafogli. Un sistema di superstizioni di scambio: devozione contro grazie, un pò come nei clan, affiliazione contro protezione (niente a che fare con la strada che si è scelto Cristo - e che non c'è da meravigliarsi se l'ha portato alla croce).
Il sistema camorrista permette ad una società di attraversare la modernità, che venera il consumo, lasciandola continuare a rifarsi, almeno idealmente, alla tradizione preindustriale basata sulla famiglia anzichè sullo Stato. Un fatto immaginario, di puro attaccamento a valori teorici giustificativi perchè in realtà il “Sistema” camorrista all'occorrenza le stritola come niente le famiglie, comprese le proprie, e ne sacrifica i membri secondo i suoi scopi di profitto e di potere.

Io ho una simpatia di fondo verso quelle istanze cultural-politiche, quei movimenti che rivendicano autonomia per realtà e tradizioni locali ed etniche: credo che spesso sia in queste genere di cose che si debba cercare per ritrovare il bandolo della matassa della speranza in una società che si ridia un ordine in armonia con la Natura e la Realtà.
Ma non c'è da lasciar spazio ad ingenui romanticismi quanto a questo: troppo spesso a tali istanze si accompagna la tendenza verso pericolose strumentalizzazioni. E questo è precisamente il caso.
Senza entrare nel merito qui del valore o meno del voler tenere i “veri valori tradizionali” a guida di una società, ma solo per considerare l'ipotesi di una qualche, fors'anche ingenua e remota, buona fede, di questi valori, di una qualche, per quanto arcaica, etica di comportamento, cosa è rimasto nelle odierne organizzazioni criminali?
Cosa è rimasto se tutto, famiglia, figli, la propria stessa vita, è sacrificato sull'altare del successo, del potere, dell'ostentazione, del proprio ego-trip in fin dei conti, e per null'altro che questo?
Certo, in questo modo si dà anche lavoro a molte persone, che di questo sono grate, ma non c'è davvero bisogno di fare stragi e scempio del territorio per aiutare la gente a lavorare, non c'è bisogno di farsi ville da star hollywoodiane, non c'è bisogno di creare imperi internazionali del traffico di armi, droga, esseri umani. Se è questo che si fa, il benessere del popolo a cui si appartiene è l'ultima delle preoccupazioni. E qualsiasi forma di cultura o di valori anche.
Infatti non è che il tipo di benessere perseguito dai clan e da chi ad essi fa riferimento abbia alcunchè di diverso dalla massificazione uniformante consumistica che percorre tutto il pianeta come uno schiacciasassi: è sempre e solo la solita rincorsa al consumo sfrenato, compra, consuma, ostenta e distruggi di merci-simbolo di affermazione egoica e nulla più. È l'apoteosi di questa tendenza ultraliberista e supercompetitiva perchè in più ne accelera il ritmo, ne salta i passaggi imposti dalle pastoie legali, perché suggerisce che successo e richezza siano potenzialmente disponibili in modo interclassista - a patto che si sappia far piazza pulita e presto degli avversari - e li rende il valore supremo, condizione perchè la vita stessa ne abbia uno.
È molto chiaro quali sono i frutti di questo tipo di tendenza: il fatto che la vita e qualsiasi cosa le dia senso e bellezza non abbia più in sè alcun valore, che il mondo in cui viviamo (compreso quello umano) diventa solo uno strumento del nostro ego che finiremo per distruggere, e noi stessi con esso.
Ce lo dice molto bene Saviano quando parla del fascino che i camorristi esercitano sui ragazzi dell'interland napoletano/campano: con la loro ricchezza, macchine, donne, potere, rispetto, successo, libero uso della violenza sembrano essere il modello dell'unica condizione in cui la vita valga la pena di essere vissuta, anche a costo di perderla, non parliamo poi di toglierla. Altrimenti, o a questo scopo, la si può anche buttar via.
Queste solite assurdità tipo “meglio un giorno da leone ecc...”.
Fesserie autentiche di chi non capisce neanche l'abc di cosa sia la vita, che viverla è già senso a sè stessa. Ma davvero si può pensare che solo con questo carico di ornamenti valga la “pena” di vivere? E c'è poca pena invece in quella vita là? Per questo dico che la cosa più triste è proprio che gente così debba far da modello ai giovani.
Ma davvero tanta cecità?

Del resto, e se andiamo a questo livello al cuore vero della questione, non è certo solo un problema della Campania o della Camorra. Forse l'ampiezza della collusione tra sistemi criminali e sistema capitalistico-consumista anche a livello mondiale è molto più ampia e strutturale e perfino necessaria di quanto possa sembrare.
A ben vedere, c'è una autentica differenza tra l'oppressione delle grandi multinazionali e degli eserciti dei paesi ricchi a cui queste appartengono (o forse viceversa?) sulle masse dei paesi poveri e l'oppressione dei clan sugli abitanti del Sud Italia?
Quando si scatena una guerra per impedire un aumento del costo delle materie prime all'origine o per evitare che cadano sotto il controllo di un governo ostile; quando si costringono le economie di altri paesi ad accettare le proprie regole imposte a livello internazionale col ricatto del debito e dei cosidetti “aiuti allo sviluppo”; quando si gioca con speculazioni finanziarie conosciute solo ad addetti ai lavori incuranti delle conseguenze catastrofiche su milioni di persone; quando ci si serve di elite corrotte e cosche locali per deviare le politiche di un paese verso interessi eterodiretti; quando si costringono interi popoli a fame, guerra ed emigrazione; quando si mandano i propri soldati ben pagati ed equipaggiati con armi ed attrezzature ognuna delle quali costa come anni di reddito per una famiglia locale ad uccidere chiunque si opponga ai despoti-fantoccio che vengono imposti per curare i propri interessi; quando, se non si può mandare il proprio esercito, ci si serve di assassini prezzolati come soldati di eserciti regolari in paesi dittatoriali, come elementi di gruppi terroristici, come agenti di servizi segreti e come semplici killer free-lance per fare i lavori sporchi quali l'assassinio di sindacalisti, giornalisti, leader popolari..... dov'è la fondamentale differenza fra chi è a capo di governi e grandissime aziende globali e chi lo è di organizzazioni riconosciute ufficialmente come criminali?
Non è in fondo che, se si può dire che la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi, lo stesso vale per le attività della criminalità organizzata rispetto a quelle all'economia legale?
Può l'economia capitalista-consumista avanzata fare a meno del suo aspetto ombra, del suo regno sotterraneo illegale e criminale?
Così ingenti volumi di traffico finanziario, così profonde, diffuse ed annose connessioni col mondo bancario, borsistico e speculativo, ma anche industriale e commerciale nonchè politico internazionale da parte delle grandi organizzazioni criminali, potrebbero davvero essere eliminati senza che l'intero sistema ne sia sconvolto? Si possono ancora distinguere e separare chirurgicamente le reciproche interdipendenze in un intreccio così stretto e di lunga data? E, ai massimi livelli dell'economia mondiale, tra i nomi che veramente contano e che spesso non sono noti al pubblico, dove finisce l'imprenditore e dove comincia il criminale se si riescono a condizionare in misura decisiva sia le leggi di uno Stato che chi le applica?
C'è ancora il “legale” e l' “illegale” a quel livello?
Quante aziende chiuderebbero senza l'aiuto in mille forme diverse, anche molto indirette, dato dalle condizioni generali di mercato create dalle varie mafie e dai loro metodi? E cosa succederebbe se chiudessero in molti? Disoccupazione? Conflitti? E tutti i disoccupati che si arrangerebbero con i vari espedienti? E chi arriverebbe a mettere un pò d'ordine in questo sottobosco di gente pronta a tutto? Non sarebbero ancora le organizzazioni criminali?
Con quali metodi si fanno accettare le condizioni e i ritmi di lavoro, i salari da fame, le malattie per intossicazione agli operai e le operaie che in tanta parte del mondo producono a costi così bassi da far girare l'economia mondiale, da permettere consumi elevati su scala di massa? Come gli si impedisce una efficace rappresentanza sindacale? Chi è che fa la legge lì e come la fa? Con la forza o il diritto? E il diritto di chi? Di chi alla fine compra i loro prodotti “a buon mercato” o di chi li rivende con lauti guadagni?

Ci vuole il lavoro come alternativa al crimine, si dice. Però forse non è così semplice perchè, quale lavoro, all'interno di quale sistema? Oggi lavoro significa occupazione e occupazione significa profitti; profitti significa condizioni di mercato che li permettano, significa vittoria sulla concorrenza, significa tanti prodotti venduti, tanta gente che vuol consumare tanto, tanto più del necessario, se no si vende troppo poco e i prezzi diventano troppo alti. Questo significa che c'è bisogno di una mentalità consumistica diffusa, di assumere l'avere e l'apparire come motori dell'esistenza, di una competitività sociale continua, dello spreco come presunto bisogno; significa avere le materie prime a basso costo, significa smaltire i rifiuti senza spendere perchè quella è una fase del ciclo in cui il profitto è già avvenuto.

I paesi ricchi e sviluppati, relativamente pacificati al loro interno, sono così perchè hanno una zona d'ombra della loro economia dislocata in Terzo Mondo: spostano all'esterno le contraddizioni, la parte “sporca” ma pur sempre necessaria al sistema, l'inquinamento, lo sfruttamento. Nei paesi a metà, come il nostro, le contraddizioni in parte si esportano e in parte si tengono in casa, magari confinate in determinate aree e ben custodite da parte di chi si eleva al di sopra della condizione comune nella sua zona grazie appunto a questo ruolo di guardiano. Sono paesi in chiaro-scuro in cui la luce del sole e l'ombra coesistono e prevalgono reciprocamente secondo che tempo fa nei cicli dell'economia e della politica. I paesi in fondo alla graduatoria sono quelli poveri, più o meno del tutto in ombra. Qui la luce riguarda solo la facciata ufficiale della società in cui vivono i guardiani di turno, una piccola minoranza quasi aliena che sta lì a dire agli stranieri in visita d'affari, di piacere (turismo) o anche “umanitaria”, ciò che si vogliono sentir dire, nella lingua che sanno capire. Al di là di questo ci si può arrangiare come si vuole, secondo chi ha il potere e come lo gestisce. I soli paesi, tra quelli che non possono permettersi di sfruttarne altri, in cui non ci sono grosse organizzazioni criminali sono quelli dittatoriali in cui è la polizia stessa e i capi del governo a svolgere questa funzione.

Il sistema capitalista consumista (ed a maggior ragione in questa sua fase avanzata ed ipercompetitiva al limite dell'esaurimento delle risorse e degli spazi occupabili) ha intrinsecamente bisogno di un territorio socio-ambientale da sfruttare in libertà altrimenti la macchina si ferma e la sfida competitiva si perde. Uno spazio che, tra le altre cose, da un lato faccia da terreno di coltura per la competizione sorgente tra le nuove aspiranti imprese di successo e dall'altro faccia da cuscinetto/ammortizzatore sul quale le grandi aziende possano scaricare i contraccolpi delle fluttuazioni date dalle fasi economiche e finanziarie mondiali e che li possa assorbire “spalmandone” le conseguenze dove non si vedono (almeno non da parte di chi vive dove il capitale stesso risiede).
Contemporaneamente non è più possibile bypassare apertamente ai fini del profitto le regole che oggi ci sono a difesa di ambiente, diritti, trasparenza, sicurezza e quant'altro.
Ciò avviene mentre le dimensioni delle aziende raggiungono proporzioni mai viste prima, cresce la tendenza alla concentrazione, i profitti si fanno sulla quantità (economie di scala) e quindi la competizione si vince sull'abbattimento dei prezzi. Ma al contempo i competitori che si affacciano sul mercato aumentano mentre una parte della popolazione mondiale non può necessariamente essere assorbita nel sistema (che ha sempre più bisogno di consumatori, ma non altrettanto di lavoratori/produttori da retribuire abbastanza perchè diventino a loro volta consumatori interessanti).
Ci si deve perciò aspettare che queste persone destinate a restare ai margini, ma altrettanto degli altri imbevute dei richiami continui al consumo ed all'affermazione di sè come legata al possesso di merci, al successo, e al potere (per quanto anche solo a livello spicciolo e straccione), vorranno anch'esse avere la loro fetta di torta come fosse un diritto o come l'unica ragione di vita. E d'altra parte, le stesse aziende, che devono vendere, avranno interesse che costoro giungano a poter acquisire un reddito spendibile pur senza poterle inserire nella parte di sistema che esse gestiscono ovvero quella alla luce del sole. Che ci giungano dunque a questo reddito, in qualsiasi modo.
L'importante è spendere!

Allora la domanda è: si può pensare davvero che un sistema così funzionante possa non avere cospicue parti in ombra? Oscure ma altrettanto portanti di quelle alla luce del sole, di quelle legali, ufficiali? E chi le organizzerà queste zone d'ombra? Chi ne olierà i meccanismi, chi manterrà l'ordine al suo interno, chi eliminerà i pezzi guasti?
Potrà farlo solo qualcuno che lavora nell'ombra, che appartiene all'ombra, perchè si tratta di lavorare su realtà e con metodi, di fatto esistenti e necessari ai meccanismi del profitto, ma che se venissero accettati apertamente come normali ne risulterebbe il caos totale - il quale, va detto, alla lunga si risolverebbe nella dittatura mondiale da parte di gruppi criminali, ognuno nel suo settore e zona, in un'estensione al mondo di ciò che già avviene adesso di fatto in certe aree, il che è in effetti uno dei possibili ulteriori sviluppi del sistema nel quale viviamo.

Se per chi “lavora nell'ombra” c'è pure competizione e conflitto con chi lo fa nelle zone al sole (imprese legali ed apparati statali) questo è semplicemente normale e non contraddice in nessun modo questo quadro: è tutto il sistema che si basa sulla competizione, fa parte del gioco.
Oggi vince uno, domani un altro, sia nel conflitto tra i gruppi “in luce”/legali e quelli “in ombra”/illegali che al loro interno; c'è chi sorge e chi scompare, come sempre. Ma il punto è che l'esistenza (ed i metodi) di organizzazioni criminali che facciano il lavoro sporco non può scomparire in sè: è necessaria. Forse non per questa o quella singola azienda, non per questo o quel particolare gruppo politico, o almeno non per tutti e non sempre, ma è necessaria per il sistema nel suo insieme a cui tutti comunque devono la loro esistenza per ciò che sono.
Un sistema effettivamente onesto non può essere il sistema capitalistico-consumista.
Non può esserlo perchè questo è intrinsecamente basato sulla crescente avidità nei consumi, sulla crescita economica esponenziale, sullo sviluppo illimitato, sulla fame di successo, di velocità, di competizione. E per di più impostato così in un'ottica democratica/egualitaria, quindi tale da suscitare aspettative in questa prospettiva in ogni individuo e a livello di massa.
Alla lunga, farsi delle illusioni su questo modello competitivo-consumista sarebbe come istituire la libertà di rapina generalizzata ed aspettarsi però che tutto si svolga secondo certe regole di etichetta e senza farsi male.
È assurdo.
Ed è ipocrita.

Con il suo iperliberismo e la sua competitività assoluta, la dinamica interna degli affari e dei conflitti di camorra è una metafora del mondo attuale. Colpisce per la violenza manifesta, assurta a quotidianità ordinaria, e perchè avviene qui da noi. Ma i meccanismi economici che gli stanno dietro sono, solo qualche passo più avanti nella progressiva esasperazione competitiva, quelli che agiscono normalmente nel mondo su scala più ampia - ed in molte zone più lontane da noi già in modo percepibile nella vita di tutti i giorni.
E la metafora non vale solo per i meccanismi economici, ma, sotto la superficie, pure per quelli comportamentali ed “etici” probabilmente. Come dobbiamo aspettarci che si comporterebbero molte, moltissime persone “per bene” che abitano altrove se domani, in seguito ad una improvvisa crisi economica generale si trovassero nelle stesse condizioni in cui vivono oggi molti degli abitanti di Scampìa e degli altri centri dell'interland campano ad alto tasso camorristico? Quanto vorremmo scommettere sulla diffusione di un radicamento autentico di certi valori di onestà, non violenza, convivenza civile in questi tempi? Sarebbe sufficiente a reggere il colpo di un drastico abbassamento delle condizioni di vita? Quanto i famosi “valori” sono interiorizzati in quanto tali e quanto sono invece un altro lusso culturale da dibattito televisivo o da conversazione al bar con cui ornarsi finchè costa così poco e c'è nulla da perderci?

Se essere onesti altrove può anche porsi come una scelta normale, esserlo a Napoli potrebbe richiedere un atto eroico... e allora, che si fa?
Non è tanto facile giudicare. Non ho dubbi sul fatto che chi, anche al livello più basso, collabora con assassini e sfruttatori non sia in alcun modo giustificabile - anche perchè spesso non lo fa solo per sopravvivere, ma col sogno di ottenere i segni del lusso e del successo, almeno nelle intenzioni se non nei risultati reali. Eppure, pur ammirando senza riserve coloro che, come Saviano, si espongono apertamente nell'interesse generale rischiando la pelle, sento di capire molto bene chi, davanti ad una tale realtà, di far l'eroe non se la sente. E sceglie di andarsene. Capirei molto bene chi si chiedesse se vale la pena di morire in nome di valori che troppa gente è pronta a barattare con un motorino nuovo, qualche bel vestito e due soldi in tasca. Capirei molto bene chi invitasse anche i suoi amici a cercare un'altra vita altrove e, piangendo rabbia, si augurasse che se ne andassero via tutti e rimanessero lì solo i camorristi e chi li ammira e chi li segue e che si ammazzassero tutti tra di loro, fino all'ultimo (perchè così farebbero se ci fossero solo loro).... e che non ce ne rimanga più uno!

Andar via: disertare.
Se un nemico non può essere che tale, ma rimane troppo forte per affrontarlo; se chi dovrebbe esserti alleato, perchè vittima come te, preferisce fingere di non vedere; se non ci sono le condizioni per combattere se non per morire come eroi ammirati ma non imitati, eroi di una testimonianza che forse si scopre a guardarsi allo specchio....
ripeto, onore mille volte a coloro che combattono e rischiano, ma, sinceramente, forse neanch'io sarei tra quelli.
Quando i sistemi si reggono sui carnefici quanto sulla collaborazione delle loro vittime, a chi servono gli eroi? Quando il sistema è legato al suo male come la luna alla sua faccia oscura? Quando la malattia è strutturale, intrinseca, necessaria, le cose non si possono cambiare dall'interno.
E non sto parlando della gente, nè di una zona d'Italia in particolare, sto parlando di un sistema complessivo, e non solo campano, e non solo italiano, ma un sistema è fatto e mantenuto in vita dalle persone con i loro comportamenti, con ciò che fanno e che non fanno, a vari livelli. Se ci vuoi trovare un “vero colpevole”, il colpevole decisivo, non ce lo trovi, ma ognuno deve prendersi le sue responsabilità, e ognuno ha la sua parte. E su questa deve agire.
Per chi ha le responsabilità maggiori, i capiclan da un lato e chi dovrebbe combatterli per conto dello Stato dall'altro, ho già detto: se chi deve fermarsi da sè non lo fa va fermato con tutta la forza e la detrminazione necessarie, senza remore e accettando pure qualche effetto collaterale: a la guerra come a la guerra. Se ce lo si potesse permettere.
Ma per i motivi detti sopra non so quanto questo in realtà sia possibile.

Le persone che mi interessano di più in tutto questo quadro sono i ragazzi del Sud, i giovani che ancora possono scegliere. Chi ancora non ha buttato via intelligenza, coscienza e sensibilità per un paio di Naike e una mazzetta di euro in tasca da sputtanarsi in una sera per ritrovarsi domani come prima. Chi ancora non vorrebbe uccidere, ma non vorrebbe neanche morire. Nè vivere una vita in cui non trova senso. Che è un pò come morire. Lo capisco bene.
E a voi giovani dei “quartieri” e delle altre vostre zone non vi conosco, non conosco il vostro mondo e non mi aspetto neanche che a qualcuno di voi capiterà mai di imbattersi in queste note che scrivo a dire il vero. Non posso farci nulla.
Posso solo dirvi la mia. Scriverla qui. E credo che qualcosa del genere sia venuta in mente anche a voi qualche volta.

Disertare! Disertare questa guerra obbligatoria. Andar via. Vi capisco bene. E che si ammazzino tutti tra di loro, lo dico un'altra volta, e chi li ammira, chi li invidia e chi li rispetta: fino all'ultimo!
Non c'è da piangerci sopra: l'hanno scelto come mestiere ed è ciò che sanno vedere della vita.

Io spero che ci sia anche chi sa vedere altro e spero che ce ne siano anche tra quanti già sono partiti su quella strada: che si fermino un momento ad ascoltarsi perchè un solo istante di vero equilibrio e di saggezza, quella che sta al fondo di noi tutti, può fermare ogni folle corsa. Prima la rallenta e alla lunga la ferma perchè si comincia a chiedersi che senso abbia. E questa follia ha solo il senso di una fuga impossibile dal proprio immenso miserabile dolore senza via d'uscita.
La via d'uscita sta fuori da tutto ciò: non è questione di vincere o di perdere questa partita (anche la vittoria militare da parte dello Stato non sarebbe in fondo che una necessaria premessa).
La via d'uscita è a monte: si tratta proprio di non entrarci neanche in questo gioco.
Andar via. Lasciargli il campo.
E senza nessuno che li stia a guardare, nessuno ad applaudire, nessuno ad invidiare, lasciarli a sentire il sapore del loro successo, del loro potere in un deserto di cemento (...armato). A sentire se sa di qualcosa che non sia dolore e disperazione.
Lasciarli soli a mangiare i loro soldi, ad abbracciare le loro automobili, a vedere che, se ci fossero solo quelli come loro al mondo, non saprebbero darsi altro che morte.

Lo so, andar via sembra un sogno, non è facile. Il mondo, e specialmente l'Italia, non ti offre molto, non ti regala niente, e ci vorrebbero delle risorse, economiche e culturali, la mentalità giusta, un pò di fortuna anche. Certo. Sembra un'impresa enorme, una battaglia contro tutto e contro tutti, forse fa persino più paura che avvicinarsi a un clan e andare in giro tutti i giorni per strade conosciute ad avvelenare e rubare la vita a persone con cui si è cresciuti insieme, sempre in campana per poliziotti e nemici, sempre insieme a qualche amico fraterno che ogni momento potrebbe anche spararti appena ti giri se glielo avesse detto qualcuno che conta più di te. Qualcuno che entrambi ammirate, che entrambi invidiate, che entrambi emulate e che, lo sapete voi per primi, è degno di tutto questo da parte vostra proprio perchè in realtà vi considera solo dei vermi, degli strumenti, dei cacciaviti nelle sue mani. Roba senza valore. Che si usa e si butta via, anzi, si è già buttata via da sè.
Lasciar ciò che è conosciuto per l'ignoto fa paura, è sempre stato così e ciò dimostra quanto la radice di tanti problemi storici, sociali, economici, stia in origine nella mente umana sebbene noi la cerchiamo sempre all'esterno. Sottrarci alle nostre categorie, alle nostre paure sarebbe l'inizio di ogni libertà.
E sarebbe già andar via, sarebbe già diserzione, sarebbe già togliere terreno e sostegno agli oppressori.
Perchè andar via non necessariamente vuol dire spostarsi a vivere altrove geograficamente. È andar via da questo mondo, da questa dimensione di vita, da questo orizzonte mentale... e comportarsi di conseguenza, coerentemente.
Andar via davvero, non esser più parte del problema. Nè nei suoi svantaggi e neanche nei suoi vantaggi, però: altrimenti sarebbe troppo facile.

Se è il sistema capitalista-consumista che presuppone l'oppressione, lo sfruttamento e la violenza, sia nelle sue forme legali che in quelle illegali; se è intrinsecamente legato ad una faccia in ombra, criminale e organizzata; se la mentalità che presuppone questo sistema e che lo alimenta è quella della competizione, del successo a tutti i costi, dell'apparire, della cecità rispetto ai fondamenti della propria vita, di quella altrui e della vita in genere, la cui conseguenza non può essere che la violenza e la distruzione, andar via è in primo luogo uscire da tutto questo. Cominciare a rinunciare agli specchietti per le allodole dietro ai quali corriamo e che ci tengono tutti in linea in questa corsa. Capire che davvero non ne abbiamo bisogno e che non si tratta in realtà di perder nulla: che ci illudiamo di ottener qualcosa, ma siamo noi la merce in realtà - presupposto di tutte le altre - che noi, senza accorgercene, regaliamo in cambio di illusioni dalle quali speriamo di trarre un attimo di forza, subito delusa, senza vedere l'energia che davvero ci tiene in vita, tutta presente fin da sempre, nella Natura dentro e intorno a noi.

C'è bisogno di dirlo anche qui? È solo un sistema socio-economico-culturale strutturalmente estraneo ai meccanismi consumistici che ha la possibilità di funzionare senza bisogno del lato oscuro di organizzazioni criminali. Perchè non ci sono margini di profitto per questo. Perchè se ognuno vive del proprio lavoro, un lavoro tale da dargli ciò che dignitosamente gli serve a viver bene e non di più, un lavoro su piccola scala, a dimensione locale, che debba necessariamente essere attento agli effetti che ha sulle persone e l'ambiente circostante in quanto è da ciò che trae la possibilità di continuare a vivere, non rimane spazio per attività criminali. Non ce n'è lo spazio a partire dalla volontà delle persone, che riconoscono valore e senso alla vita, la propria e l'altrui in ogni forma. Riconoscono valore al tempo che gli è dato di trascorrere su questa terra e alla sua bellezza, che ci sia e che la si possa apprezzare: non sono disposti a scambiarla con la prima merce alla moda che gli viene messa sotto il naso. Non credono ai modelli di desiderio spinti dalla pubblicità, perchè conoscono le fonti della propria vita, conoscono la soddisfazione nascosta nella fatica e nella semplicità.
Questo è andar via. Non c'è bisogno di far tanti chilometri.
È in primo luogo un fatto mentale. Il fatto di avere una visione. E di trovare il modo di creargli una forma in pratica. È una scelta. Non un'azione eroica. Una questione di sopravvivenza, ma non solo per sè. Proprio di sopra-vivenza.
Mettere la vita al primo posto, sopra il successo, sopra il potere, sopra i soldi, sopra quel tanto agognato sogno di rivincita, di farglielo vedere che “anche io valgo qualcosa, che stavolta la vinco io la partita, a qualunque costo”.
Mettere la Vita, la bellezza e il senso del vivere, semplicemente vivere, sopra a queste cose. Chi non sa far questo, qualsiasi cosa abbia ottenuto, ha già perso, ha comunque perso.
Ha perso tutto.
Perchè alla fine, veramente, cos'altro c'è? Cos'altro abbiamo, al di là di fare l'esperienza della nostra vita?

C'è bisogno di dirlo anche qui? Per me un tale sistema di vita economico, sociale, culturale che possa davvero funzionare senza necessità di oppressione e violenza, sfruttamento del prossimo e distruzione della natura, deve basarsi sul recupero di un modo di vivere e lavorare semplice, incentrato sull'agricoltura di piccola scala e sulla comprensione del proprio posto nella Natura. Sulla rinuncia radicale a basar la propria vita sull'avere sempre più oggetti, far tanti soldi e carriera, sulla rinuncia definitiva al dipendere da sogni di successo, al credere che la vita abbia bisogno di qualche ottenimento straordinario per essere contenti di viverla.
Non è facile realizzare questa visione e forse non ci si arriva mai del tutto, ma , anche se dall'esterno potrebbe non sembrare, posso garantire che ci si annoia meno così che su un muretto o dentro a una discoteca in una grande città. E si rischia meno la pelle, il che non è male perchè la vita è bella anche un bel pezzo oltre i vent'anni. Può ben esserlo, almeno: dipende da noi.

Non so che senso possa avere il suggerimento di questa forma di via d'uscita per un ragazzo di Scampìa. Immagino che non ne abbia molto. Ci sarà anche gente che non è
quasi mai uscita dal suo quartiere e ciò che intendo io per “natura” forse neanche l'ha mai visto. Lo so. Ma io a un ragazzo che sta dando una piega alla sua vita, e che vive cose che io non conosco, cose che nella sua vita non gli hanno lasciato il tempo per credere alle chiacchiere, non mi sentirei di parlare come fanno i politici.
Voglio dire: non posso parlargli d'altro che di ciò che io ho capito attraverso ciò che ho fatto, che ho vissuto.
Per cui lo so che non sarà facile per lui andare a vivere in una casa in campagna, trovandone una in affitto o magari occupandola, mettersi a fare il contadino magari aiutandosi anche con dei lavoretti (probabilmente abusivi, certo, ma sarà sempre meglio che ammazzar qualcuno, o no?). Non sarà facile trovare qualche altro amico per non tentare quest'impresa da solo. Sarebbe bello, sarebbe bellissimo, ma non posso tirare fuori dalla tasca questa soluzione e dire “eccola qua!”.
In realtà è solo che così ho fatto io; un altro farà in qualche altro modo.
Non sta a me trovare soluzioni a nessuno. Direi solo: cari ragazzi, siete voi che conoscete la vostra condizione, il vostro ambiente, la vostra esperienza, sapete voi cosa volete dalla vostra vita, a ciò che potete e non potete rinunciare; spero che sappiate anche davvero perchè.
Potreste essere pronti a uccidere e morire forse, se un capo ve lo dicesse e vi pagasse cifre che comunque spendereste presto: avrete anche le palle per fare una scelta diversa allora?! E di affrontarne le conseguenze?
Sta a voi dargli una forma.

Ciò che io chiamo una proposta “ecofondamentalista” non è una ricetta prefabbricata: è una visione. E lo sforzo di consapevolezza ed onestà intellettuale di vedere se questa visione corrisponde alla realtà come ce la sentiamo dentro e cosa ci indica su ciò che dobbiamo fare. Ed è lo sforzo pratico, concreto, di dare forma nella propria vita a questa visione nel modo progressivamente più coerente possibile in tutti vari aspetti e livelli della nostra esistenza e del nostro rapporto col mondo.
Certamente si tratta di muoversi in una linea di eco-socio-compatibilità radicale e di non-collaborazione con tutto ciò che va in direzione contraria. Non potrebbe essere altrimenti per non ritrovarsi al punto di partenza (o lì vicino - secondo me è così).
Ma ognuno deve trovare e soprattutto percorrere questa strada a suo modo nella sua dimensione e condizione personale.
Non sarà forse mai un cammino definitivamente compiuto, ma, da qualsiasi punto di partenza, chiunque ha la possibilità di intraprenderlo e, riconoscendolo come la soluzione più radicale a tutte le disarmonie create dagli esseri umani dentro e fuori sè stessi, senza limitarsi a vederlo come qualcosa che appartenga solo all'orizzonte della propria vicenda individuale, nè delegare a nessun altro che non in primo luogo a sè stessi il lavoro da fare, portarlo avanti con convinzione, coerenza e coraggio per tutta la vita.
E con grande fiducia nella Vita, nella Natura, in ciò che veramente siamo.




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