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SULL'OMOSESSUALITA'

In sintesi…
L'omossessualità non è un comportamento naturale primario, ma una forma-surrogato della naturale polarità energetica sessuale Maschile-Femminile e la sostituisce quando questa trova ostacoli ad esplicarsi che possono essere di varia origine (l'attuale confusione sui ruoli sessuali può ben essere una di queste). E' una delle tante deviazioni che, per quanto non veramente “sane”, rispondono nello svolgersi dell'esistenza di una persona alla spinta - questa sì, sana - per ritrovare comunque un benessere, un equilibrio e un'identità. Non sarebbe dunque una questione su cui discutere più di tanto: alla fin fine, in fatto di sesso e tra persone consenzienti, ognuno fa quello che gli pare. Se non per il fatto - molto indicativo dei tempi - che riguardo ad essa si può vedere il passaggio dalla giusta difesa del rispetto di libertà individuali in precedenza oppresse al ribaltamento delle estremizzazioni fino ad affermare che omosessualità ed eterosessualità sarebbero parimenti sane e naturali.
Qui si esplicita un tratto distintivo della cultura attuale assolutamente antropocentrica ovvero l'idea che ben poco e poco importante ci sia di naturale nell'essere umano e che tutto sia invece culturale e per ciò modellabile e rimodellabile secondo la prospettiva del periodo.
Il caso dell'omosessualità è dunque esemplare per discutere l'esistenza o meno di fattori primari naturali, cioè secondo Natura ed in questo senso sani.
La Natura ha un suo ordine intrinseco? E che spazio permette a ciò che devia da esso?
In che senso c'è o non c'è “libertà” nella Natura e che significato può avere questa parola al suo interno? Cosa vuol dire “naturale”?
Nella Natura esistono la “regola” e la devianza e c'è spazio per entrambe ma non vanno confuse e sarebbe importante che si salvaguardasse questa differenza ovvero che si proteggesse la nozione di ciò che è sano nel senso di naturale e di ciò che non lo è altrettanto. Pur rispettando e garantendo, nella propria vita privata, la libertà di ciascuno. Che peraltro non sarebbe messa in pericolo dall'affermazione di per sé di una tale distinzione.
E' però significativo notare come, nella nostra cultura che si ritiene tollerante - e che ha partorito il nazismo solo ottant'anni fa - si guarda con terrore qualsiasi distinguo di questo genere come inevitabilmente foriero di persecuzioni e violenze. Conseguenze effettivamente possibili da noi che la dicono lunga sulla matrice universalista, impositiva e manichea che ha sempre caratterizzato la nostra civiltà e che è tutt'uno con la sua separazione dalla Natura della quale certe esaltazioni di una presunta “libertà” unilateralmente umana sono una delle molteplici e contraddittorie manifestazioni.

(versione PDF)


Nel testo che ho scritto sul Maschile e Femminile ho ignorato l'omosessualità, come se questa non esistesse in Natura. In un certo senso è così: l'omosessualità non esiste in Natura.
Ovviamente non che di fatto non esista: non esiste in Natura. Ovvero non è qualcosa che abbia origine a livello primario [vedi Glossario per il significato che do alla parola primario].
L'omosessualità non è la pulsione sessuale naturale degli esseri viventi, ma non solo perché i sessi esistono come elementi necessari alla riproduzione e il rapporto omosessuale non può avere questo effetto.
Anche e, per quel che qui ci interessa, soprattutto, perché l'altra altrettanto importante funzione del sesso per gli esseri umani, quella della scarica orgastica/metabolismo energetico, funziona naturalmente secondo la polarità M/F.
Mentre ogni essere sessuato umano ed animale, nasce con la predisposizione a cercare l'unione sessuale col sesso opposto, in qualsiasi luogo e qualsiasi tempo - e qualsiasi cultura - su questa terra, non credo che nessuno abbia, alla nascita, una predisposizione a cercare l'unione sessuale con esseri dello stesso sesso (e parlo di predisposizione dato che , ovviamente, alla nascita e per un altro po', non si cerca alcuna unione sessuale non essendo gli ormoni ecc… ancora entrati in funzione in questo modo).
Sono convinto che la tendenza, radicata e permanente (non episodica come gioco sessuale occasionale, 'esplorativo' o variazione sul tema nell'ambito di rapporti fondamentalmente eterosessuali - come in un'orgia), di tipo propriamente omosessuale cioè escludente l'altro sesso (ma in questo includo anche una continuativa bisessualità vissuta separatamente con i due sessi), sia originata sempre come conseguenza di un qualche tipo di ostacolo nella soddisfazione della pulsione sessuale eterodiretta primaria trovato in una fase della propria vita (spesso, ma non necessariamente, in una fase infantile-adolescenziale).
A causa delle circostanze più varie la pulsione eterosessuale può trovare difficoltà a rivolgersi con soddisfazione verso l'oggetto di desiderio naturale, un essere dell'altro sesso, e così, per evitare il dolore di questa frustrazione di un bisogno primario, devia verso una direzione-surrogato .
Queste circostanze possono essere molte e diverse: scarsità di persone dell'altro sesso, relazione problematica con le figure genitoriali o altri personaggi importanti nell'infanzia e nell'adolescenza, difficoltà a relazionarsi col gruppo dei pari, problemi dell'individuo ad approcciarsi all'altro sesso dovuti a timidezza, orgoglio, introversione ecc… ecc…e mancanza di forza, coraggio e consapevolezza nel riconoscerli, affrontarli e superarli. Cose queste che possono essere anche aggravate da fattori culturali quali per es., in culture altre, una educazione e delle usanze sessuorepressive che impongono una separazione tra i sessi o, nella nostra attuale, una generale inconsapevolezza e confusione circa i ruoli sessuali e perfino la propaganda attraverso le mode subculturali giovanili dell'omosessualità come modello comportamentale e dell'androginia come modello estetico trasgressivi in senso accattivante.
I difensori della presunta “naturalità” dell'omosessualità argomentano che questa esiste anche tra gli animali, ma tra gli animali proprio questo è il caso: è solo quando un animale vuole sfogare la propria carica sessuale e non ha disponibile un partner dell'altro sesso della stessa specie - o trova forti ostacoli ad ottenerlo - che accenna o tenta realmente l'accoppiamento omosessuale. Quando si trovano vari animali tutti dello stesso sesso senza esemplari dell'altro raggiungibili, o quando questi lo siano ma non siano in estro o comunque non siano disponibili (per es. quando le femmine sono monopolizzate dal capobranco). Oppure tra cuccioli che non abbiano ancora completato lo sviluppo sessuale non avendo dunque preso questo tipo di identità. O ancora in altre situazioni particolari non normali in natura come quando fin da piccolo un animale sia stato abituato a vedere come partner sessuale un essere diverso dalla propria naturale controparte sessuale di specie….. in questi casi tra gli animali si danno comportamenti omosessuali, ma ciò non fa che confermare il fatto che si tratta di comportamenti-surrogato e non primari. Il fatto che, secondo le circostanze, siano possibili comportamenti sostitutivi, non dimostra affatto che quelli normalmente praticati siano solo frutto di apprendimento e dunque 'culturali', ma solo che il nostro immaginare le 'leggi' di natura alternativamente o come unilaterali e rigide o come inesistenti è solo frutto del nostro modo di pensare mentre la Natura in sé stessa ha delle regole precise, ma funzionali, che permettono comunque alla vita di scorrere, anche se, in caso di necessità, in modo deviante.
Tra gli esseri umani è precisamente la stessa cosa, ovviamente con le enormi differenze di complessità che ci sono tra animali ed umani.
Nel nostro caso ci sono alcune situazioni abbastanza chiare, come luoghi particolari dove vivono insieme per lungo e lunghissimo tempo solo elementi dello stesso, come carcere, navi di lungo corso, conventi, tutte situazioni artificiali, estreme, tra quelle prodotte dall'uomo. In questi casi possono esserci comportamenti omosessuali anche tra adulti che non ne avevano mai avuti prima; si tratta chiaramente di un surrogato. Ad un livello ulteriore di complessità ci sono quelle società/culture, come ad esempio alcune tra quelle musulmane, in cui i rapporti tra i due sessi fuori dal matrimonio (e poi, di conseguenza, in parte anche dentro) sono così controllati e codificati da limitare fortemente la comunicazione, la fiducia e l'apertura reciproche. Ovviamente non si tratta qui di generalizzare o far considerazioni che riguardino interamente queste società, ma certo a volte può avvenire che in questi sistemi culturali la relazione tra i sessi risulti così difficile e insoddisfacente che alcune persone, soprattutto giovani maschi non ancora sposati, siano portate a cercare soddisfazione sessuale con i compagni dello stesso sesso. Tra i pari dello stesso sesso c'è la possibilità di una comunicazione calda, cameratesca, in cui si può comunicare su un piano informale, in cui l'emotività può esprimersi e quindi si può andare su un livello più intimo, diretto, sul quale si possono condividere aspetti più profondi (e tra questi c'è anche il proprio bisogno di piacere e di scambio energetico sessuale). In queste società le persone con cui ci si può trovare su questo piano della comunicazione sono quelle dello stesso sesso: tra ragazzi questo è riconosciuto come una cosa normale - non il sesso, ma una comunicazione calda - ad esempio è normale tra maschi tenersi per mano. Tra persone dello stesso sesso c'è dimestichezza con l'altro, ci si confida, c'è il contatto fisico, c'è condivisione: è questa la “metà del cielo” che appartiene allo scambio interpersonale vero. Con l'altro sesso invece ci si sposa, si fanno i figli, si convive e ci si rapporta pure tutta la vita, ma rimane comunque una distanza, formatasi nella rigida separazione della giovinezza ed imbrigliata in tutta la serie di prescrizioni formali che regolano i rapporti fra i sessi fuori e dentro il matrimonio. In questo modo il desiderio eterosessuale trova sempre con difficoltà soddisfazione ed alimenta un senso di sospetto e di incapacità di comunicazione che può tradursi in una quasi 'schizofrenia' tra la repressione sessuale consuetudinaria ed una ipersessualizzazione del modo di vedere l'altro sesso che, non trovando normalmente espressione pratica, rischia di esprimersi in modi violenti quando la trova, mantenendo comunque l'incapacità dell'incontro e dello scambio. Ancora una volta in questo caso i comportamenti omosessuali sono un surrogato.

Ancora più complesse sono le varie modalità in cui emergono i comportamenti omosessuali in società sessuo-liberali come quella occidentale moderna.
Le cause e le forme sono varie, ma il passaggio decisivo credo sia il punto in cui il soggetto si identifica con un'immagine di sé come estraneo alla propria identità sessuale naturale.
Il punto, prima che appartenere ad un'altra forma immaginata di sessualità - che può essere incentrata variabilmente più sul pretendere di appartenere in “realtà” all'altro sesso o più ad un preteso “terzo sesso” a sé stante - è quello di liberarsi dal disagio di non corrispondere alle pulsioni originarie di quella propria. Ciò significa più esattamente che non si vuole o non si riesce a guardare dentro le proprie difficoltà nel rapportarsi con l'altro sesso in modo tale da esprimersi per ciò che naturalmente (fisicamente) si è e realizzare quel gioco di polarità M/F nel quale si troverebbe la naturale soddisfazione energetica.
Non affrontando questa difficoltà/apparente incapacità su un piano di consapevolezza che guardi al reale contenuto profondo delle emozioni, ci si trova in un senso di disagio ed inadeguatezza dal quale in ogni modo si vuole uscire trovando evidentemente l'astinenza - l'incapacità di trovarsi partners sessuali tout court - peggiore di ogni altra cosa.
Insieme a questo possono avere la loro parte altre componenti collaterali e fattori scatenanti. Ad esempio può esserci un risentimento verso figure dell'altro sesso tale che, pur potendo facilmente averne, si mantiene un atteggiamento di rifiuto, quasi a voler ostentare la propria irraggiungibilità e la propria indifferenza. Oppure può esserci una reazione verso figure genitoriali o sociali di entrambi i sessi da cui non ci si è sentiti accettati nel proprio modo personale di esprimere la propria eterosessualità naturale evidentemente con tratti che non corrispondevano al loro modello e magari ci si è sentiti sotto pressione per questo specialmente nell'età in cui si andava formando la propria identità sessuale.
Ad aggiungersi a tutto ciò possono concorrere altri fattori ambientali e culturali come l'offerta di appigli psicologici a cui attaccarsi in una fase critica. Modelli comportamentali o identitari che possono venire da conoscenti o essere proposti dalla cultura e dalla comunicazione mediatica..
Oggi nella televisione e nelle subculture giovanili viene dato ampio spazio a personaggi e tendenze che propongono l'omosessualità come un modello accattivante in termini di qualcosa di trasgressivo e di avanzato (che supera i limiti). Modelli che attraggono specialmente persone giovani durante fasi problematiche nella ricerca di una identità e del trovare la propria forma di espressione/comunicazione/soddisfazione. Questo è tanto più vero oggi che, a fronte di una carenza di reale confronto e comunicazione, aumenta esponenzialmente l'importanza dei modelli mediatici come leva identitaria (che è facile immaginare quanto possa essere fittizia), mentre è pressoché scomparsa nei ragazzi l'attitudine ad affrontare i propri problemi a partire dalla responsabilità personale verso sé stessi soprattutto nella chiave necessaria di una impietosa consapevolezza nel guardare dentro di sé.
D'altro canto è invece molto di moda attribuire la colpa di tutto agli altri e specialmente alla “società” che è un bersaglio così vasto e indefinito che si può essere certi di centrarlo con qualsiasi critica.
L'atteggiamento giovanilistico “trasgressivo”, che poteva avere un senso in una società repressiva, non è, da parte dei ragazzi d'oggi, che un goffo tentativo di nuotare in un fiume così vasto da essersi prosciugato dell'acqua: gli argini sono crollati ed è rimasta solo una grande, indistinta, palude in cui non c'è più nulla di strano ad essere imbrattati di fango.
In realtà, per quanto la nostra cultura sia liberale nella comunicazione tra i sessi, rimane il fatto che uomini e donne, ragazzi e ragazze, maschi e femmine comunque, siamo diversi ed è sempre comunque problematico capirci e rapportarci, e ciò ancor più da giovani quando dal nostro successo nel riuscire ad ottenere comunque dei partner sessuali, ne va della nostra autostima e reputazione (oggi qualsiasi condizione sembra essere più presentabile che quella di non risultare appetibili ed attivi sessualmente).

Questa difficoltà a rapportarci tra maschi e femmine è, come abbiamo visto, l'altra faccia della complessità e della ricchezza di questa danza polarizzata di energie che ci coinvolge a tutti i livelli del nostro essere: non sarebbe così ricca se fosse più semplice. Ma è chiaro che ci vuole un po' di tempo per mettersi al livello di una tale complessità e non lo si può fare in altro modo che passando per difficoltà, delusioni, atti di coraggio, successi e sconfitte in un processo in cui dobbiamo crescere ovvero in qualche modo superare noi stessi.
Rapportandoci tra membri dello stesso sesso tante cose, soprattutto sul piano della comunicazione, della franchezza, dell'apertura, della confidenza, della facilità e immediatezza ad intendersi sul piano di come ci si vivono i rapporti, i sentimenti ed anche le voglie sessuali, sono molto più facili e dirette laddove un uomo e una donna nello stesso letto, uniti in un solo corpo, parlano spesso due lingue diverse pur usando le stesse parole.
Ma è molto superficiale credere che tutto dovrebbe invece giocarsi su un piano di così facile comunicazione. Come abbiamo visto (vedi Su Maschile e Femminile e Sui rapporti di coppia)
, tra uomini e donne rimane sempre come insuperabile un margine di incomprensione reciproca che lascia spazio al silenzio; un silenzio intelligente che fa parlare la realtà che si esprime in molti modi, a partire dai nostri corpi evidentemente fatti l'uno per l'altro, e che ci dice che siamo maschi e femmine. Due polarità complementari che si completano a vicenda e riconoscono sé stesse ognuna in rapporto all'altra in una dinamica di inveramento e completamento senza fine.
Non si tratta solo di trovare un qualche partner sessuale/affettivo con cui ci si diverta e non si litighi troppo.

Mi sembra abbastanza ovviamente implicito, ma forse può essere importante precisare, che tutti i vari meccanismi psicologici, di identificazione ecc… di cui sopra, non necessariamente avvengono in modo cosciente, anzi, spesso è il contrario e non necessariamente in modo lento o graduale in una lunga fase di crescita. Ciò anche può essere, ma tutto può altrettanto succedere in modo repentino e inconscio, quasi psicosomatico, e in età molto precoce (nelle sue premesse di base) tanto da apparire poi, ed essere visto (e/o razionalizzato) dal soggetto stesso, come qualcosa di “naturalmente” appartenente a sé.

Il fatto che l'omosessualità sia sempre esistita in tutte le società umane non è un argomento per sostenere che sia qualcosa di primario: è sempre esistita come il comportamento deviante dalla norma sia statistica che culturale di una limitatissima percentuale della popolazione ed è sempre stata vista come una anomalia, a volte in modo più benevolo, altre con le più dure forme di condanna.
Ad ogni modo è vero che l'omosessualità è sempre esistita e non credo, con buona pace del mito di Sodoma e Gomorra, che sia mai stata causa della distruzione di una civiltà. Semmai la sua diffusione a livello di massa può essere un segno di decadenza, ma certo non di per sé il più grave. Per cui non ci sarebbe molto motivo di occuparsene se non fosse per il fatto che attualmente, nelle società occidentali moderne, sta passando l'idea che l'omosessualità sia semplicemente una diversa modalità di praticare la dimensione sessuo-affettiva della vita umana altrettanto sana e naturale di quella che ci tengo a continuare a chiamare normale , ovvero quella eterosessuale (parola che per questo motivo uso mal volentieri dato che oggi sembra star ad indicare solo una opzione tra le altre possibili ed equivalenti).
Idea, questa, che, a mio modo di vedere, è assolutamente inaccettabile.

Mi rendo conto a questo punto della delicatezza e della potenziale pericolosità di ciò che dico e sento il bisogno di essere molto preciso quanto al mio atteggiamento perché non voglio esprimere meno di ciò che penso, ma neanche di più.
Voglio mettere bene in chiaro che non c'è alcuna disposizione persecutoria sul piano pratico da parte mia nei confronti degli/delle omosessuali né nelle intenzioni né nelle conseguenze necessarie di ciò che affermo (mentre ce ne potrebbero essere in altre non necessarie che qualcun altro ne potrebbe trarre, ma alle quali sarei il primo ad essere contrario).
Premesso questo, la penso come mi accingo a spiegare e, dato che sto solo esprimendo delle opinioni, spero che i difensori della laicità, del relativismo e della democratica civiltà occidentale, me ne riconoscano il diritto, come lo riconoscono a tante altre forme di espressione, fra cui quelle degli omosessuali. Non c'è da parte mia nessun intento di condannare o proporre persecuzioni in nessun modo verso gli omosessuali. Dico di più: dal momento che ognuno di noi realizza il manifestarsi della Vita nel vivere la propria, e che per sapere in che direzione questa vuol prender forma non può che essere (e guardare dentro) sé stesso, sono convinto che se una persona così facendo trovasse che la sua strada nella vita prende per sua natura - secondo ciò che egli sinceramente crede di sentire - la forma di un comportamento omosessuale, io credo (che a monte di questo debba esserci o esserci stato qualche problema irrisolto, ma nondimeno che ora) egli debba vivere secondo ciò che sente. Questo per parlare di ciò che trovo giusto limitatamente al suo livello individuale. Inoltre voglio sottolineare che, nel pensare che comunque dietro ci deve essere qualcosa di irrisolto, non lo intendo come qualcosa di chi sa quale gravità e aberrazione. Ad esempio, se qualcuno sviluppa una struttura caratteriale ed una serie di reazioni psicosomatiche radicate per le quali sviluppa tratti blandamente nevrotici che possono manifestarsi ad esempio in una colite nervosa, un tic, tratti caratteriali di introversione o estroversione particolarmente marcati o la dipendenza da droghe o dal fumo di sigarette, questo non lo si troverà motivo di condanna o discriminazione e così non lo trovo neanch'io: sarebbe un ben tristo mondo se il nostro livello di tolleranza fosse così basso, e chi si salverebbe poi?
Su questo credo che siamo d'accordo. Ma se qualcuno mi venisse a dire che devo considerare altrettanto sano e naturale il comportamento di una persona portatrice di uno o più dei tratti appena elencati e quello di un'altra libera da essi, se qualcuno pretendesse che respirare l'aria pura o il fumo di sigaretta sono due modalità altrettanto sane e valide dell'uso del respiro umano, io questo lo rifiuterei come assolutamente inaccettabile e del tutto falso, perché tale è!
Tutto qui: è un fatto di principio, di dire le cose come stanno, di distinguere ciò che è naturale, in questo caso nel senso di primario e per questo motivo sano, da ciò che non lo è altrettanto, non in modo grave, non tale da essere sanzionato né legalmente né socialmente, ma non altrettanto sano.

E ciò naturalmente ha delle implicazioni e dei presupposti che riguardano il concetto di “sano” - che sono in realtà il mio principale motivo di interesse nell'esaminare il fenomeno dell'omosessualità.

Poco fa ho parlato dell' ”uso” del respiro umano per esprimere l'ottica in cui parlerebbe qualcuno che lo equiparasse all'aspirazione del fumo di sigaretta. Ma l'errore sta proprio qui: non si può parlare di “uso” del respiro come fosse un oggetto o una nostra facoltà di cui potessimo disporre a piacimento. Non è affatto così. Il respiro è inscindibile da noi, siamo noi. Non ci credete? Provate a smettere di respirare, esercitate in questo modo la vostra libera facoltà di avvalervi o meno di questo “strumento”, vedete se vi è possibile!
E non è diverso il discorso per le altre nostre funzioni vitali fondamentali che accompagnano la nostra vita, come anche il bisogno di completamento/scarica/rinnovamento energetico sul piano del sesso/amore. E' niente altro che pura pazzia la pretesa che va sotto il nome di transgender di poter disporre di sé stessi a piacimento facendo come se si fosse maschi o femmine o qualcosa di intermedio a scelta secondo le nostre voglie, gusti o fantasie del momento. Non è questione di immoralità o meno, non faccio un discorso morale, e la mia idea di “sano” non si basa su una morale, sul guardare a “come dovrebbe essere”, ma a come è. L'idea del transgender o di poter usare/abusare così senza limiti di noi stessi è puramente una enorme, tragica illusione. Né più né meno di quella di chi pensasse di poter fumare sigarette o alimentarsi di schifezze tutta la vita senza che il proprio corpo gli presenti il conto prima o poi.
Siamo parte di un Universo, della Natura, siamo anche un corpo, non siamo “cultura” o “opinioni”: non scherziamo!
Questo conto che il corpo presenta non è solo il rischio che con libera scelta l'individuo si assume e che forse si illude di poter progressivamente azzerare con l'avanzare della scienza e della tecnologia. E' anche e soprattutto la realtà che ha una sua intelligenza e un suo ordine che lascia ampi margini di libertà in superficie, ma che non funziona a caso ed ha una base, un fondo che non si può cambiare (perché non è in fondo separato dalla superficie ma è la vera essenza di questa), che va solo accettata, compresa e praticata.
In questo senso dico “sano”: in una visione del mondo in cui esiste una vera realtà - che è funzionale, non sostanziale né morale - che è la Natura (ovvero, più esattamente, la natura della Natura, come vedremo meglio più avanti), ciò che è primario in quanto in linea con quanto è dato originalmente in natura e in armonia col funzionamento della Natura in generale, è sano.
Il criterio di sano non è un fatto umano, e va visto diversamente a diversi livelli: un uomo che ha preso una malattia si trova in una condizione non sana ed è naturale che si curi e cerchi di guarire. Ma la realtà della morte in sé - che presto o tardi, in un modo o nell'altro, per tutti gli esseri viventi arriva - è qualcosa di sano che permette il ricambio della vita sulla Terra e che gli esseri umani devono solo accettare, anche se non corrisponde alla loro più immediata percezione di ciò che è sano.
Se non è adeguato il punto di vista puramente umano figuriamoci quanto può esserlo quello individuale. Le molte diverse anomalie, i vari modi di distaccarsi e comportarsi in modo contraddittorio rispetto a ciò che è primario e naturale sono cose che, in misura maggiore o minore, quasi tutti abbiamo. Dipendono da come siamo riusciti a costruire noi stessi nel corso della vita attraverso le condizioni in cui ci siamo trovati compresi ostacoli e difficoltà. Niente di mostruoso dunque perché viene da sé che, dato che la Natura vive in molte e diverse forme individuali coesistenti e interagenti, ci saranno sempre anche ostacoli e difficoltà e relative risposte che ogni essere darà, forme in cui si strutturerà per ritrovare un qualche equilibrio, che a volte però può anche essere un equilibrio nevrotico, per esprimersi comunque nelle sue funzioni vitali anche se a volte deviando su forme-surrogato d'espressione. Per questo esistono una infinità di varianti in natura. Ma con ciò non si può dire che siano tutte ugualmente naturali e in questo senso sane: altrimenti esseri (umani e non ) che nascono privi di arti, esseri che si ammalano al punto di non poter più sopravvivere da soli dovremmo considerarli altrettanto sani degli altri. Il concetto di sano non è sinonimo di esistente in natura, ma è invece fondato su ciò che avviene in natura. Altro è il fatto che una persona che in natura di per sé non sopravvivrebbe ha il diritto alla vita, alle cure e all'assistenza necessaria perché la comunità dei suoi simili glielo riconosce (il che, per carità, non vorrei essere frainteso, è sacrosanto) ed altro è dire che la sua condizione è sana.

Trovo necessario approfondire questo discorso sulla omosessualità non tanto per la cosa in sé, che di suo non meriterebbe tanta attenzione, ma perché mi dà l'occasione di affrontare la questione di ciò che significa sano e naturale o meno, ovvero in che rapporto sta l'essenza della Natura con le sue forme contingenti. Rapporto che qui potremo solo iniziare a discutere per poi riprenderlo più ampiamente in seguito.
Vediamo dunque questo rapporto a partire da un punto di vista molto generale, quindi lasciando per un momento la questione specifica dell'omosessualità - per poi tornarci più avanti come caso particolare.

In realtà la Natura vive nelle sue forme/esseri individuali e non è in nessun modo e a nessun livello altro da queste. Per cui ogni forma di esistenza nel mondo ha la sua ragion d'essere (qualcosa come il suo 'diritto ad esistere', anche se il diritto è qualcosa che - strettamente parlando - può esistere solo come invenzione umana), nulla è per sua natura sbagliato o degno di essere eliminato: può esserlo solo secondo il punto di vista soggettivo di qualcun altro.
Ma se consideriamo le cose unilateralmente in base a questo aspetto della realtà, tutto al mondo finisce per essere indifferenziato ed equivalente mentre il fatto che la Natura esiste nelle sue molte forme è anche tutt'uno col fatto che queste forme hanno le loro caratteristiche specifiche. Che esistono in una rete infinitamente connessa di determinate (e non qualsiasi) relazioni reciproche (mobili ma funzionalmente costanti) dalla quale non è neanche verosimile immaginarle separate. Gli esseri viventi, infatti, non esistono solo a livello individuale, ma soprattutto in insiemi più grandi quali la specie ecc… e, se le loro caratteristiche a livello individuale possono cambiare più volte nel corso di una vita, a livelli più ampi sono come immutabili sulla scala temporale umana.
Ogni specie vivente, ad esempio un certo albero, poniamo il larice, ha un certo aspetto caratteristico, diverso da individuo a individuo, ma sostanzialmente quello, tanto che possiamo dargli un nome di specie che significa una certa modalità di funzionamento biologico, di crescita, di modo di interagire con l'ambiente. Le informazioni contenute nel suo DNA, che fanno di quella pianta un larice, sono la sua legge e, pur consentendo superficialmente, una certa elasticità di varianti possibili necessarie all'adattamento, non si tratta di una legge che potremmo dire “democratica”. In caso di incendio o di terreno non adatto il larice muore laddove un altro tipo di albero, con altre caratteristiche di specie, potrebbe sopravvivere.
Nella Natura c'è contemporaneamente posto per tutto ciò che è possibile su questa Terra. Sfido chiunque a dimostrare il contrario: se una cosa esiste, esiste all'interno del mondo, ovvero della Natura (persino il pensiero umano, nel suo essere pensato, - mentre solo come fenomeno apparente quanto a ciò che pensa - ne è un aspetto). Per cui la Natura dà spazio ad ogni cosa. In questo senso è più che democratica, ma al tempo stesso non lo è affatto: se una persona ingerisce del veleno o se salta in un dirupo credendo di poter volare, se una mucca dovesse mangiare solo carne o una tigre solo verdura, muore, senza appello e senza attenuanti. Come ben diceva Giorgio Gaber “gli schiaffi di Dio appiccicano al muro”.
Come coesistono questi due aspetti?
Se consideriamo la forma e le modalità di funzionamento peculiari e costanti di una specie vivente come la sua 'regola' e le varianti di questa che secondo casi particolari si presentano come l'eccezione o la devianza, abbiamo uno schema teorico semplice ed utile per inquadrare le cose.
Ma la Realtà non è dualista: è una tutta intera, e le cose non stanno veramente così.
Non esistono la legge e la variante, come non esistono l'essere vivente e il suo comportamento: si tratta in realtà di un'unica cosa tutta intera, e non solo unica, ma così integralmente in movimento da non essere neppure una cosa. Così fisicamente in movimento da essere viva.
Stiamo parlando infatti di esseri viventi, e della Vita che, in quanto essi, vive.
(Per così dire) manifestando la propria natura molteplice la Vita prende diverse forme e queste esprimono la Vita come tali. Nel corso del tempo, ovvero dell'evoluzione, le forme viventi inverano la propria natura di forma vivendo secondo certe modalità caratteristiche alcune delle quali sono comuni a vastissimi gruppi (specie). Ad esempio determinate caratteristiche comuni ci permettono di raggruppare sotto una stessa categoria tutti quelli che chiamiamo Mammiferi e così per altri gruppi. La categoria degli esseri sessuati, che funzionano in aspetti fondamentali per la loro vita secondo la polarità energetica M/F, è molto più vasta anche di quella dei Mammiferi, comprende in effetti la grande maggioranza delle specie viventi.
Ci sono caratteristiche costanti che funzionano al livello di gruppi così vasti ed altre a livelli sempre meno vasti, fino a limitate comunità, per esempio su base locale, di individui all'interno della stessa specie e perfino a livello dell'individuo stesso.
In linea di principio, essendo queste caratteristiche forme di vita una pura attività vitale, non si tratta per natura di qualcosa di fisso o di permanente: quando sulla Terra esistevano solo oceani e vulcani ecc… ma non organismi viventi, questa “realtà fondamentale” M/F quanto meno nel senso in cui ne stiamo parlando, non esisteva. Così come non possiamo sapere se un giorno, in una fase della vita sulla Terra che non possiamo immaginare, non esisterà più. Questo sia detto per un inquadramento teorico della questione ai livelli più alti.
Livelli che però adesso non ci interessano perché riguardano scale temporali al di là di qualsiasi interesse umano che non sia solamente speculativo.
Ciò che ci interessa di più è invece notare che, quanto alla permanenza nel tempo e al loro essere caratteristiche fondanti, intrinsecamente e profondamente legate alla natura di quelle forme viventi che le portano, la stabilità di queste caratteristiche è direttamente proporzionale all'ampiezza di queste categorie. Così come le caratteristiche molto basilari e generali che fanno di un mammifero un mammifero rimangono immutate per tanto tempo da sembrare eterne e riguardanti invariabilmente tutti gli individui appartenenti a quelle categorie come tratti che esprimono l'essenza della loro propria forma di vita, così all'inverso possono essere mutevoli e relative quelle caratteristiche tipiche della sottocomunità locale o addirittura dell'individuo al punto da poter cambiare nell'arco di poche generazioni e perfino della sua stessa vita senza snaturarne l'identità.
Attraverso questa variabilità individuale o comunque alla base della scala, la Vita nelle sue forme si adatta al mutare delle circostanze dato dal continuo interagire di tutte le forme. Questo è indispensabile alla sopravvivenza e permette l'evoluzione ovvero il successo nella concorrenza di specie e nelle sfide ambientali.
Perché ciò avvenga deve esserci la 'libertà' di ogni tipo di varianti/”esperimenti” possibili.
Questo è l'aspetto 'democratico' e perfino 'anarchico' della Natura, e in questo senso tutte le varie possibilità hanno ragione di esistere ovvero la loro comparsa è un fatto sano - come del resto lo è anche la loro scomparsa dal punto di vista 'generale' della Natura.
Entrambe le cose infatti, nell'economia generale della storia di vita della categoria, per esempio della specie, sono un fatto necessario. Ma dal punto di vista delle forme di esistenza alla base della scala (come la comunità o l'individuo), le cose appaiono molto diversamente in quanto la positività al livello del vertice della scala di questo aspetto “anarchico” è controbilanciata dalla impietosa severità della selezione naturale che è altrettanto preziosa per la sopravvivenza della specie.
Ora, quindi, sebbene tutte le varianti possibili abbiano ragione di esistere, non tutte possono considerarsi sane per la specie, e infatti il processo naturale in qualche modo le 'sconfessa' facendole estinguere.
Queste varianti inadatte, dunque, è naturale che vengano in esistenza, ma è altrettanto naturale che scompaiano. Innaturale sarebbe invece che sopravvivessero. Ciò che è “giusto” dal punto di vista dei grandi insiemi di forme viventi (al vertice della scala) non lo è necessariamente da quello umano, che è un punto di vista particolare (alla base della scala).
Più esattamente per la Natura non c'è il “giusto” e lo “sbagliato”: ciò che funziona in Natura è giusto per il solo fatto di esistere(/funzionare). Ma è decisivo capire in che modo e cioè qual è la differenza in questo caso tra esistere e funzionare. Non solo il fatto che in realtà nulla “esiste” e tutto funziona (come vedremo meglio in seguito), ma soprattutto perché questo funzionare indica che si tratta di movimento, ma non qualsiasi: movimento in un certo modo, con un certo senso, con una intelligenza, con una saggezza. Le forme/gli esseri/le specie funzionano, vivono, secondo caratteristiche semicostanti (costanti nella nostra scala temporale significativa anche se non necessariamente nei tempi cosmici) che permettono solo a livello molto superficiale variazioni e solo in misura minima e nei limiti del rimanere in armonia col proprio modello funzionale di base che è quella che possiamo chiamare la loro natura. E ciò non è esattamente per una sorta di meccanismo finalistico di sopravvivenza del tipo “la specie fa così perché questo gli serve per sopravvivere”. Questa è la solita antropomorfizzazione in cui cadiamo noi umani quando facciamo ipotesi interpretative sulla Natura.
In realtà nella Natura non c'è dualismo e finalità: la Natura, pur nel suo vivere come forme - ma in modo inconscio da parte delle forme - è Vita in sé stessa: che senso avrebbe un comportamento che avesse alla base la finalità di sopravvivere? La Vita in quanto tale può forse morire?
La strategia finalistica appartiene all'individuo, alla specie, se consideriamo il singolo comportamento strategico. Ma ora stiamo prendendo in esame, al di là di ogni caso particolare, il rapporto di fondo in Natura tra ciò che sembra una 'regola' di base e le varianti particolari.
Considerando questa cosa in assoluto non c'è finalità perché lo scopo della Vita è solo quello di vivere.
Se vogliamo vedere ciò che veramente succede non nella Natura in quanto forma, ma nella forma in quanto Natura, la forma (per es. una specie vivente) non fa che esprimere integralmente sé stessa. In primo luogo - in una 'gerarchia' di centralità, di importanza 'identitaria', ma simultaneamente - manifestando la propria natura/caratteristiche semicostanti, poi il proprio aspetto di potenzialità di variabilità/adattamento e poi con l'inveramento della propria natura come cosa presente e viva che manifesta sé stessa non contro ma attraverso la facoltà di variazione.
Qui c'è l'attuarsi di una natura vitale e complessa delle cose che esistono in anzi come processo creativo/(auto)trasformativo in un inveramento/realizzazione della propria natura - che in ultima analisi (ma solo in ultima analisi ovvero passando per la realtà delle forme funzionali semicostanti) è solo Vita.
E non c'è, in principio, alcuna finalità: la finalità appartiene all'aspetto di forma individuale in quanto tale all'interno della rete di relazioni che è il mondo. Un essere vivente è entrambe le cose al tempo stesso. Per farcene un'immagine semplificata possiamo pensare all'acqua che scorre adattandosi alle pendenze e agli ostacoli verso il basso, ma non per questo possiamo dire che smetta, per quanto si adatti a tutto, di essere acqua con tutte le sue caratteristiche, né che si muova con la 'finalità' di raggiungere il mare: non fa che esprimere la propria natura ovvero ciò che è e non attraverso una astratta, fissa, ideale, identità, ma proprio manifestandola nella sua capacità di adattamento e variabilità che però non prende ogni e qualsiasi forma, ma solo quella che le è proprio. L'acqua si adatta sì al disegno di ogni superficie perché ciò le è proprio, ma non diventa né fuoco né terra.
Così, se da un lato il principio di coerenza/autonomia/linearità rispetto alle modalità funzionali semi-costanti (MFSC) è dovuto a necessità di sopravvivenza e concorrenza di specie nell'ambito della selezione naturale, dall'altro tale principio ha senso anche laddove problemi così stringenti di sopravvivenza non si pongono o sono stati superati grazie al successo evolutivo. Senso che rimane dal punto di vista della piena realizzazione dell'individuo secondo la propria vera natura e in armonia con il mondo circostante ovvero in termini di autentico benessere e compimento per sé e per gli altri esseri a lui interrelati.
Nel caso degli esseri umani, questo secondo aspetto è quello più significativo, data la loro posizione nella scala evolutiva. Infatti, dal punto di vista del primo, noi, rispetto agli altri animali, facciamo eccezione in quanto possiamo permetterci di mantenere in vita una grande quantità di varianti anomale della nostra specie che in natura, o anche a stadi evolutivi precedenti della storia umana, non sarebbero sopravvissuti, ed anche molte altre che non sarebbero sopravvissute per motivi culturali trovandosi emarginate dalla comunità a causa della loro reale o presunta anomalia. Questi sono problemi che per fortuna sono andati scomparendo o riducendosi moltissimo nel corso dell'evoluzione tecnologica e culturale. E' inutile sottolineare qui quanto questo sia un bene, una conquista evolutiva.
Quanto all'altro aspetto, invece, non si tratta di qualcosa legato alle condizioni pratiche di vita o al rispetto della vita umana in quanto tale. E' qualcosa che si trova un passo oltre questo, che ha a che fare semmai col senso della vita e con la consapevolezza che ne abbiamo.
Da questo punto di vista, posto che abbiamo vinto la nostra battaglia prioritaria per la sopravvivenza sul piano materiale, e che quindi ci possiamo permettere il lusso di riconoscere il diritto alla vita a tutti gli esseri umani (è triste a dirsi, ma basta guardarsi un poco indietro nella Storia per vedere quanto questo sia in effetti un lusso da poco conquistato - e conquistato solo in linea di principio in realtà, dato che se guardiamo ai paesi poveri vediamo che tuttora non è così), ci rimane la questione di capire qual'è il modo di vivere questa vita che non ne perda il senso, altrimenti il successo quanto alla evoluzione potrebbe rivelarsi in parte anche un'altra fonte di dolore e problemi, fino a far risorgere l'incertezza quanto alla sopravvivenza stessa. Alla lunga, come in principio, infatti, la Vita è tutta intera: non si può separarla dal suo senso, e l'incapacità di coglierlo esprimerà sé stessa come quella capacità lo farebbe, e come tutto nella vita.
Ciò ha a che fare con l'aspetto di intelligenza e saggezza della Vita e le sue forme e con l'esprimersi di questo nel fatto che, quando c'è armonia e coerenza con la propria natura/MFSC c'è, nella autopercezione dell'individuo (e di riflesso della comunità) senso di realizzazione e benessere ed il contrario in caso contrario, fino alla malattia.
Va da sé il fatto che, come per un individuo, anche per una società lo stato di malattia può non essere soggettivamente riconosciuto come tale fino ad un punto molto avanzato, specialmente se, forse inconsciamente, si percepisce che la sua cura sarebbe piuttosto dolorosa e impegnativa mentre ci si è abituati a credere di aver (chi sa perché poi) diritto ad una vita facile ed autoindulgente.

Il problema è dunque questo: la specie umana ha superato lo stadio in cui le varianti inadatte alla sopravvivenza venivano eliminate da sole in quanto portatrici di comportamenti incapaci di sopravvivere (e infatti tra gli animali abbiamo comportamenti omosessuali occasionali e in funzione di surrogato, ma non individui del tutto e solo omosessuali, i quali, se pure potrebbero sopravvivere in quanto tali, sarebbero fattori di 'suicidio' per ciò che riguarda la specie non potendo riprodursi ). Con ciò ha la possibilità di garantire la vita anche a coloro che deviano dalla 'regola' di specie. Ma questo vuol dire che la questione dell''innaturalità' di questi comportamenti, se non si pone più per noi su un piano di sopravvivenza, si sposta un passo più avanti (e più a fondo) su uno di autentico ben-essere ovvero di realizzazione, di inveramento della nostra propria natura.
Pur rimanendo il fatto che, a livello individuale, ognuno deve seguire ciò che soggettivamente sente come la propria vera natura (ciò che riesce a sentire come tale per sé, che è relativo alla propria condizione di realizzazione-consapevolezza) perché non può realizzarsi come individuo altro che a partire dalla realtà delle sue condizioni individuali, è importante considerare in generale che nessuna forma vivente esiste senza un modello di forma di vita a cui 'fa riferimento' nella sua crescita ed esistenza.
Questo modello è la sua forma sana ed ogni forma di vita (intendo qui come specie) segue la propria inconsciamente, naturalmente. L'essere umano ha bisogno di farsene una idea per poterla seguire consciamente. Il che, sebbene la segua in realtà comunque nel suo essere fisico ed inconscio, gli è necessario avendo egli anche una coscienza ed una vita sociale così sviluppate che comportano una serie di scelte pratiche e culturali.
E' più che manifesto, per chi lo vuol vedere, che seguendo solo criteri di ordine culturale che estendono virtualmente ai limiti dell'immaginabile (e chissà dove questi arrivano?) ciò che è legittimo ed opportuno fare, stiamo andando dritti verso la catastrofe ecologica, dopo aver distrutto moltissime forme di vita e di cultura ed aver creato un mondo in cui il disordine dentro e tra sia gli individui che le società regna vieppiù sovrano.
Noi esseri umani abbiamo bisogno di un modello di forma sana da seguire come individui e società che, a livello della nostra coscienza, svolga la funzione che le istruzioni contenute nel nostro DNA svolgono nel nostro organismo. Mentre però le informazioni contenute nel DNA riguardano caratteristiche di specie così lentamente mutevoli da essere pressoché fisse dal nostro punto di vista e che vengono seguite con precisione, e inconsciamente, dall'organismo, un tale modello, svolgendo la propria funzione al livello della coscienza - che è lo strumento che ci permette di interagire e adattarci velocemente alla realtà mutevole - non può avere la precisione di quelle informazioni, ma deve invece costituirsi solo di linee di massima a cui fare riferimento.
La fase storica in cui ci troviamo mostra il fallimento della Cultura/Intelletto/Immaginazione/Ragionamento presi come principi guida per un tale modello - che finora ha sempre svolto la funzione di 'fondamento morale e culturale delle civiltà'. Oggi la pluralità e la complessità culturale del mondo ipermoderno e globalizzato offrono una così vasta possibilità di modelli che porta ad andare al di là dell'idea di un modello tout court, a fare del tutto a meno di qualsiasi linea guida. Siamo nei fatti di fronte all'alternativa di rinunciare del tutto ad una tale cosa - e lasciar del tutto il campo ad un relativismo paradossalmente sempre più assoluto - o di trovarne una forma radicalmente diversa, che vada comunque al di là di quelle tradizionali e superate, ma che sia ancor più fondante di esse.
Credo ci siano solidi motivi per credere che la necessità di modelli e linee guida nei valori di comportamento sia intrinseca ed indispensabile a qualsiasi 'patto', struttura o convivenza sociale e che il venirne meno si traduca rapidamente in confusione e in una diffusa mancanza di coesione, correttezza e solidarietà tra le persone. Credo che ciò sia nei fatti davanti agli occhi di tutti.
Un modello proponibile oggi non deve portare i punti critici di debolezza di quelli tradizionali del passato. Ciò significa che non può basarsi su valori morali astratti, teorici, perché questi sono relativi alle diverse sensibilità culturali localmente e storicamente condizionate. Nei limiti di quanto ciò possa essere possibile all'uomo, non dovrebbe basarsi su una visione antropocentrica dei 'valori' (dove le virgolette stanno perché il concetto di 'valore' non può che essere umano). Dovrebbe bensì avvicinarsi a ciò che è radicato nella Natura, la quale, se ha, come ha, delle 'leggi'/linee guida, queste stanno a dare il modo sano, propriamente naturale, delle forme di vita che di essa fanno parte, tra cui quella umana. Il 'valore' per noi dovrebbe in principio identificarsi con l'identità tra l'essere, questo modo sano/linea guida, tanto proprio di noi come interni alla Natura, quanto della Natura come interna a noi.
E' a partire da questo che possiamo cercare di ricostruire un modello che sia alla base dei comportamenti all'interno di un 'patto sociale'.
Ma bisogna fare attenzione all'idea di basarsi sulla Natura. Perché in molte mitologie del passato c'era questa idea, ma si trattava in realtà, e spesso in modo evidente, delle proiezioni culturali umane che ipostatizzavano propri valori o disvalori pretendendo di giustificarli in quanto originati insieme al mondo o dallo stesso presunto 'creatore del mondo'.
Non è di questo che sto parlando. Di qualcosa di molto più semplice e di molto empirico, qualcosa che quasi si limita a prender atto e indulge poco nell'interpretazione e nel ricavar 'valori' da fatti, qualcosa per cui il fatto che qualcosa sia presente in modo generalmente ricorrente e funzionante nella Natura da tempo immemorabile è sufficiente a costituire un valore anche per noi, perché noi siamo Natura e la Natura è saggezza.
Qualcosa che , pur guardando a ciò che è così semplice e basilare, è forse possibile (volendolo argomentare in questi termini) solo oggi ovvero nella post-unificazione del mondo sotto l'indagine e la raccolta di dati scientifica da parte dell'Occidente moderno.
Qualcosa infatti che trae ragione (sebbene, intuitivamente, ci si potrebbe anche arrivare senza) dall'osservazione di quelle che sono le caratteristiche basilari ricorrenti generalmente in tutte le società umane nelle varie condizioni/epoche storiche e in tutte le diverse situazioni geografiche, o almeno nella stragrande maggioranza di esse. E va da sé, dal momento che cerchiamo un tale diverso modello a partire da una situazione pericolosa creatasi in seguito alla egemonizzazione del mondo da parte della cultura occidentale moderna, che quest'ultima non può essere considerata che come una delle tante varianti culturali da considerare allo stesso livello delle altre e non in una situazione privilegiata. Anzi, possiamo dire che , sotto molti punti di vista, questa è una variante così atipica, eccentrica e perciò marginale rispetto alla generalità delle culture tradizionali umane - cioè pressoché a tutte le altre - che non andrà presa in grande considerazione.
Nell'esaminare le caratteristiche ricorrenti nelle varie società umane non potremo neppure ignorare, a fianco dei comportamenti oggettivi, la considerazione culturale delle varie forme di comportamento e la giustificazione di tale considerazione ovvero l'immaginario culturalmente condiviso ed il fondamento attribuito a questo immaginario. Anche il giudizio positivo o negativo di una forma di comportamento, se ricorrente nella generalità delle culture può essere un tratto significativo, per quanto sempre secondario rispetto ai comportamenti oggettivi e concreti, dato che molto spesso la visione culturale caratteristica di una società può essere divergente dal suo comportamento reale. In ogni caso ciò che ripetutamente, regolarmente, ricorre, nel suo funzionamento di fondo, nella stragrande maggioranza delle culture, dei continenti/contesti geo-ambientali e nei diversi periodi storici ci dice molto di qualcosa che viene anche rappresentato, spiegato, giustificato o condannato in termini culturali, ma che di base è Natura, non Cultura.

Ora, per limitarci all'aspetto del comportamento sessuale, e con ciò tornare al nostro discorso sull'omosessualità, è chiaro che, pur con accenti ora più tolleranti ora più repressivi, l'omosessualità è generalmente stata considerata una variante marginale, anomala, e deviante della sessualità e, in ogni caso, al di là della variabile considerazione stigmatizzante o meno, si è sempre ed ovunque trattato di una variante estremamente minoritaria della sessualità umana perfino dove la stigma non era così forte (vuoi che si voglia considerare tale stigma o repressione come un elemento di inibizione, vuoi come elemento stimolante, più o meno clandestino, l'interesse o il fascino).
Dunque, se vogliamo fondare un modello di comportamento umano su alcune caratteristiche primarie e naturali - e in questo senso 'sane' - considerate tali in quanto ricorrenti come basilari nelle varie e diversificate forme dell'esistenza umana nel tempo e nello spazio, una di queste è certamente che la sessualità è un fatto Maschio-Femmina.

Il problema, dunque, sul quale credo oggi vada posta l'attenzione è la pericolosità del passaggio attualmente in atto da un giusto riconoscimento di diritti civili e rispetto sociale per una minoranza deviante ad un ulteriore passo avanti verso l'abisso della radicale ignoranza della realtà della nostra vita come parte della Natura e di cosa questo significhi. Un passo in più nella tragica illusione prometeica di poterci inventare una nostra natura come ci piace, anzi di fare del tutto a meno di una tale nozione, isolandoci dalla Realtà alla quale apparteniamo ovvero scindendoci all'interno di noi stessi.
Non è il punto che, all'atto pratico, perlopiù ognuno di noi (omo o etero) abbia sviluppato qualche più o meno piccolo tratto nevrotico o si discosti in qualche misura dalla (propria) natura - peraltro comunque non senza, consciamente o meno, scontarne in qualche modo le conseguenze. Questo fa parte della vita (capiamoci bene: è l'aspetto di adattamento/variabilità al livello dell'individuo e perciò va rispettato). Ma per noi esseri umani come individui, ma come gruppi e come specie, sono importanti anche le descrizioni del mondo, la visione 'dall'alto' della nostra realtà che va riconosciuta come parte integrante della Natura e soprattutto in cui va riconosciuta la Natura come parte integrante. Per cui è fondamentale mantenere la distinzione tra ciò che è naturale, sano, primario e ciò che non lo è: rimane fondamentale chiamare le cose con il loro nome e riconoscere l'ordine del mondo.
E questo non solo per preservare un qualche ordine sociale (che di per sé suonerebbe come un principio moralistico), ma soprattutto per non precluderci il senso di ciò che veramente siamo e la possibilità di una autentica realizzazione nell'integrazione con la Natura che è, in ultima analisi, l'unica possibilità di salvezza nel senso della sostenibilità ecologica e dell'armonia sociale.


Ora io già sento i “politicamente corretti”, i difensori della “laicità” ecc.. che inorridiscono a sentire certi discorsi su ciò che è sano o meno nell'omosessualità , sul fatto che abbiamo bisogno di un riferimento a ciò che va preso a modello in quanto naturale ecc…. Ma come ho già detto, io non sto sostenendo alcun progetto di repressione degli omosessuali, né credo che l'essere una persona un omosessuale la renda di per sé in qualche modo inferiore ad un'altra che non lo è, se guardiamo agli individui.
Diverso è il discorso teorico, di principio, sulla cosa in sé, sul quale piano penso sia importante chiamare le cose col loro nome. Quindi, se credo che un comportamento non sia sano né naturale, che in un modo o nell'altro - ma non in modo individualmente più grave o socialmente deleterio che fumare sigarette o avere una qualche comune piccola nevrosi - abbia certamente origine in qualche problema psicologico-relazionale, dico che una cosa è la dimensione sessuale della vita umana che funziona in base ad una polarità energetica M/F, che è una cosa fondamentale e sana (comprese molte delle sue varianti in forme che includono leggere cosidette 'perversioni') ed un'altra cosa è l'omosessualità che è una forma deviante ed incompleta di questa sessualità (anche se fosse praticata nel modo più 'casto' che si possa immaginare).
Ho detto pure, altrove, che il mio approccio è fondamentalmente filosofico e semmai tendenzialmente religioso (nel senso di un riconoscimento del sacro nella Vita/Natura/Realtà , non in senso cattolico né cristiano- vedi altrove), ovvero che attiene alla visione personale dell'individuo che fa da base per le sue scelte di vita nella pratica e non di tipo politico: non sto puntando a modelli di società da realizzare con la forza e l'imposizione, ma a cui riferirsi per indirizzare il proprio orizzonte mentale e la propria condotta, nel rispetto dei tempi e i modi di tutti gli esseri viventi, almeno fino a quando questi non diventino pericolosi per il prossimo in modo intollerabile.
Dunque non ci sono pericoli per nessuno da una tale posizione. Neanche estendo il mio principio del boicottaggio personale [ vedi altrove ] agli omosessuali, almeno non in quanto persone. Sì invece nel caso che questi abbiano un comportamento tale da propagandare o ostentare pubblicamente la propria omosessualità. Nel qual caso penso che sia appropriato anche il boicottaggio personale ed auspicherei, da un punto di vista legale, il divieto di propaganda dell'omosessualità come una cosa normale attraverso la sua manifestazione pubblica.
Per essere più chiaro e preciso (non reticente) penso che la libertà individuale dell'espressione e della pratica dell'omosessualità dovrebbe essere garantita e perfino protetta come diritto individuale finché si esplica in modo strettamente privato e all'interno di circoli specifici aperti agli interessati (a qualsiasi maggiorenne che liberamente li voglia frequentare), come dovrebbero essere appoggiate, anche dalle istituzioni, le manifestazioni di difesa degli omosessuali da eventuali attacchi violenti di stampo fascista (o come vengono detti attualmente, con un termine che mi sembra fuorviante, "omofobici") ed i luoghi di ritrovo degli omosessuali potrebbero essere presidiati a fini di protezione dei loro diritti e libertà dalle forze dell'ordine qualora fossero a rischio di azioni violente contro di loro.
D'altra parte, credo al contrario che non dovrebbero essere accettate come qualcosa di diventato ormai parte della "normalità" le espressioni pubbliche ed aperte del cosidetto "orgoglio gay", come effusioni sessuo-affettive in pubblico (anche nelle forme minime che correntemente sono praticate apertamente dagli eterosessuali) ed auspicherei che le istituzioni pubbliche prendessero le distanze e disapprovassero pubblicamente (anziché dargli il patrocinio come si fa oggi) le manifestazioni stile 'Gay Pride' o le affermazioni per cui l'omosessualità sarebbe un comportamento sessale normalmente sano da parte di insegnanti durante le lezioni a scuola (dove però credo che - come in ogni altro ufficio pubblico, comprese le forze di sicurezza - gli omosessuali dovrebbero avere il diritto di lavorare come tutti finché mantengono le proprie tendenze nel privato e nell'ambito di chi le condivide). In sintesi credo che agli omosessuali dovrebbe esser garantito il diritto di vivere come si sentono, ma che l'ordinamento normativo e quindi l'istituzione pubblica dovrebbe trovare la forma per prendere chiaramente le distanze dall'idea che la loro sia una condizione altrettanto sana e naturale di quelle che per natura lo sono.
Riconosco che questa possa essere presa come una forma di repressione: ammetto che sia una repressione della manifestazione e della propaganda di qualcosa in quanto viene considerato fuorviante e negativo. Si tratterebbe, nella mia idea, dal momento che sempre e comunque - per quanto in modo, volendo, anche vago ed elastico - la Legge di qualsiasi Stato riflette ed esprime una visione del mondo e dei valori riconosciuti, di proteggere e difendere la consapevolezza della polarità sessuale energetica M/F come realtà fondante della Vita e manifestazione centrale dell'Energia Vitale. E non solo in senso riproduttivo, ma proprio in quello della dimensione umana come legata alle energie della Natura ovvero in termini schietti di sesso.
Diciamo che in un'ottica ecofondamentalista questo ha un valore sacro.
Non si tratterebbe dunque della repressione della cosa in sé, ma solo della sua espressione/manifestazione pubblica che, diventando via via un fatto normale, agisce come propaganda all'idea per la quale tutto è casuale in natura e tutto è soggetto alle inclinazioni individuali umane. Il che produce una profonda perdita di consapevolezza del nostro posto all'interno del mondo, cioè della Natura, del nostro essere parte di essa, con tutte le conseguenze sia nei nostri comportamenti a tutti i livelli, sia nella percezione della nostra identità e di senso nella vita. Soprattutto, e credo sia la cosa più importante, non si tratta e non si deve trattare della repressione delle persone che praticano l'omosessualità. Va difeso il diritto di ognuno di condurre la propria vita come crede, anche quando ciò si esprime in pratiche fondamentalmente devianti, ma innocue. In questo modo queste possono essere delle varianti che non fanno del male a nessuno e in cui chi sente così può trovarsi agevolmente e liberamente. Ma nel momento in cui, come sta avvenendo oggi, si vuol far passare l'idea che queste cose siano altrettanto sane del modo naturale e primario in cui il sesso si dà in Natura (M/F) e con ciò che la realtà sia in ultima analisi priva in sé di realtà significativa e sia invece solo il campo dei nostri comodi, allora questa funziona nei fatti come una propaganda fuorviante e pericolosa che va contrastata.
Del resto anche negli ordinamenti democratici il vilipendio o la manifesta mancanza di rispetto per valori considerati fondanti ed ampiamente condivisi o la pubblica apologia di qualcosa che è generalmente e gravemente considerato un disvalore non vengono riconosciuti come cose che la legge garantisce come diritti o comportamenti legittimi. Questo, all'atto pratico, può significare conseguenze anche molto diverse secondo i casi: per spiegarmi, quando dico che alcuni comportamenti dovrebbero essere vietati in pubblico, NON immagino poliziotti e carabinieri che prendono a bastonate o disperdono con i lacrimogeni i manifestanti del Gay Pride; in alcuni Paesi, per fare un esempio, le droghe leggere non sono legalizzate, sono dunque illegali, ma di fatto il loro uso viene tollerato - almeno entro certi limiti - il che non lo rende un comportamento legittimo e con ciò non ne fa qualcosa di approvato e garantito dalla legge, dal diritto e dallo Stato (quindi, ufficialmente, dalla società), ma nemmeno qualcosa per cui delle persone debbano subire delle conseguenze gravi. C'è però una indicazione ed una presa di posizione chiara da parte della società e delle istituzioni che la rappresentano nei confronti di questa cosa. Del resto anche in Italia, per fare un esempio, fin dal dopoguerra la ricostituzione del partito fascista come l'esaltazione dei suoi leader sono vietati, ma in realtà - e purtroppo - sappiamo bene come queste cose siano state ampiamente tollerate. E meno che mai intendo che eventuali personaggi fascistoidi dovrebbero sentirsi autorizzati, dalla dissociazione pubblica dall'idea di una presunta "normalità" dei comportamenti omosessuali agiti in pubblico, a permettersi risposte violente, però credo che dovrebbe esserci una qualche forma di sanzione da parte dello Stato, tipo una multa, magari simbolica, ma che testimonia di un significato. Ed anche del fatto che anche la sensibilità della maggioranza della gente dovrà pur essere tenuta in considerazione e rispettata. Naturalmente, se è la maggioranza a pensarla così....il che dalla vulgata/propaganda giornalistica non si direbbe sia più il caso oggi, ma.....questo sarebbe tutto da verificare, magari con un referendum.

In ogni caso, non si tratta dunque, all'atto pratico e quanto a ciò che di fatto sto facendo io qui, di un discorso più discriminante o repressivo di altri comunemente accettati in uno stato democratico per altre forme di devianza.
Si tratta comunque di un discorso, di una opinione personale espressa apertamente. E spero che non intervenga tra poco una legge "contro l'omofobia" a vietare anche queste basilari libertà democratiche come l'espressione delle proprie opinioni.

Ma perché una tale opinione risulta così inaccettabile per certe persone di cui sopra (politically correct, laicisti, sedicenti pluralisti ecc…)? Perché il solo uso della parola “devianza” in questo caso suscita levate di scudi con l'animo di chi sta difendendo la democrazia e i diritti umani contro il pericolo nazista?
Ovvero perché se non si accetta che ogni cosa è indifferentemente equivalente ad ogni altra nel campo dei comportamenti personali umani, se non si accetta di non poter fare alcuna distinzione di 'sano', 'secondo natura' e non, si debba pensare che la conseguenza diretta di ciò debba essere invariabilmente la repressione, il fascismo/razzismo, la discriminazione, la persecuzione?
Viene da chiedersi cosa agisca dietro una tipica dicotomia schizofrenica della cultura occidentale. Sembra che si debba sempre oscillare tra due atteggiamenti. Uno, l'assolutismo dei valori stile bigotto-fascistoide, per cui nel momento in cui si crede in una verità si è automaticamente (quasi doverosamente - e perfino con presunzioni di “missione” altruistica) impegnati ad imporla al mondo. L'altro, il relativismo nelle sue due varianti. Quello 'assoluto', che a sua volta viene imposto agli altri come sorta di laicismo “progressista” obbligatorio, pensiero unico della civiltà che in un'ottica di gerarchia evoluzionistica si arroga l'esclusiva per imporre il credo dell'uguaglianza/in-differenza agli altri popoli. E quello 'relativo', di chi rinuncia definitivamente ad una lettura della realtà che vada al di là dell'immediato e del contingente, pur avendo a cuore cose che vanno molto al di là di questi limiti e spesso rapportandosi a queste secondo schemi inconsciamente ripetuti per abitudine socialmente condivisa proprio come conseguenza del non affrontarli con coraggio anche nei loro presupposti teorici.
La cultura occidentale, attraverso gli ultimi due-tre secoli, ma soprattutto negli ultimissimi decenni, si è affinata nell'arte di relativizzare tutto, fino alla cosiddetta 'political correctness' che è il parossistico frutto di (questa ipocrita) stagione cioè un metro etico, ma più spesso solo linguistico o meglio verbale, per misurare il mondo attenti a far sì che ogni cosa abbia sempre la stessa lunghezza, portata, profondità, peso, tonalità di colore e di valore di ogni altra: in conclusione, per conseguenza necessaria, nessuna. L'unità di misura perfetta nell'omogeneizzazione del mondo appiattito sotto la non-cultura americanofila del pensiero/mercato unico.
La trasgressione di tale principio sarebbe segno di ignoranza e di pericolosi antidemocratici atteggiamenti retrogradi.
A ben vedere, questa 'political correctness', non è altro che la manifestazione (di segno opposto e che giunge al termine di una storia che mostra la contraddizione fra i propri ideali dichiarati ed il proprio comportamento) della cattiva coscienza dell'Occidente. Questo Occidente che sarebbe la civiltà che ha portato nel mondo la cultura dei diritti umani e delle libertà civili, del rispetto fondante dell'individuo e della (pretesa?) capacità di osservare sé stesso con occhio critico ed esterno, ha, nei fatti, portato il proprio potere e la propria visione del mondo (ma più che altro le sue conseguenze quantomeno alla stragrande maggioranza delle persone tra i popoli sottomessi) con la violenza delle armi e degli altri mezzi di coercizione e di dominio. Ha sempre cercato di convertire i popoli dominati alla propria religione, alle proprie visioni del mondo, scientismo, tecnologismo, e consumismo compresi e, ora col bastone (guerra, schiavismo, colonialismo) ora con la carota (missioni, cooperazione internazionale allo sviluppo), ha imposto l'accettazione almeno esteriore dei propri valori e dei propri stili di vita, quantomeno come prospettiva del desiderio.
Anche al proprio interno la storia dell'Occidente è stata il continuo tentativo di egemonizzare anche culturalmente il mondo col quale si entrava in contatto: gli eserciti delle varie potenze occidentali non si sono fermati finché non hanno raggiunto i limiti oggettivi delle proprie possibilità e le proprie visioni del mondo hanno sempre avuto una vocazione universalistica. Questo è probabilmente il punto centrale per il quale oggi abbiamo paura di credere in qualcosa veramente e di chiamare le cose col loro nome: sappiamo le conseguenze di ciò nel nostro caso.
Dal logos dei Greci , allo status di cives tra i Romani, a quello del credente nel Cristianesimo e poi di Uomo/Cittadino nell'Illuminismo e nello Stato moderno con tutti i valori e la visione del mondo connessi, l'Occidente si è sempre rivolto al mondo con un approccio universalistico: ciò che diceva, ciò in cui credeva doveva valere per tutti, e la conseguenza automatica di ciò è che a tutti doveva essere portato, e all'occorrenza imposto, con le buone o con le cattive, ed anche con le peggiori o le migliori intenzioni e motivazioni. E ciò non solo e forse non tanto per volontà di potenza, ma per gli stessi presupposti teorici, filosofici, del modo stesso in cui le 'verità' del pensiero occidentale sono state concepite.
Gli esiti tragici delle ideologie del Novecento non sono che l'epigono più spaventoso ed eclatante in qualità e quantità di questa 'vocazione', sia quando essa ha preso forma in Europa (nazifascismo, stalinismo…) sia quando è stata trapiantata pedissequamente in altri contesti a cui era estranea ( in Cambogia con Pol Pot, in Cina con la Rivoluzione Culturale ed il Grande Balzo in avanti…).


Oggi da noi basta che uno dica che un comportamento caratterizzante una categoria di persone ha qualcosa di sbagliato che già sembra che gli stia preparando il patibolo. Non viene in mente che si possa credere profondamente che le cose stiano in un determinato modo e niente affatto in un altro, ma al tempo stesso non si faccia di ciò una buona ragione per imporre che le cose vadano per forza secondo le proprie opinioni? Non viene in mente che, senza rinunciare a chiamare le cose con il loro nome, naturale ciò che è naturale, deviante ciò che lo è, e riconoscendole in quanto tali, si possa anche accettare che al mondo ci sia posto per tutti? Si è così profondamente abituati a guardare al proprio esterno (l' evangelica pagliuzza del prossimo) da non cogliere mai abbastanza l'opportunità di partire dalla trave propria? Si crede così poco veramente nella fondamentale verità della propria visione da non aver nessuna fiducia nel fatto che essa alla lunga si realizzerà anche senza forzature ed imposizioni sugli altri?
Altri imperi della Storia, non occidentali, ad esempio quello arabo e quello cinese, si sono limitati a riscuotere beni materiali dai popoli che dominavano, sudditanza politico-militare, e certamente con ciò si è trasmessa anche una certa influenza culturale, ma non hanno tentato seriamente di convertire con la forza questi popoli. Potevano considerarli barbari, ma li lasciavano liberi di esserlo fintanto che pagavano il dazio e non si ribellavano. Il fatto che al mondo ci fossero anche “pagani” ed “idolatri” era una realtà accettata, erano visti come esseri in qualche modo meno dotati di dignità umana e di diritti, ma come tali potevano vivere ed anche essere apprezzati, pur nei loro presunti limiti, per le loro abilità.
Oggi, qui da noi, persone di provenienze diversissime e di culture ormai pressoché distrutte dall'egemonia occidentale sono arrivate in gran numero in un tempo brevissimo, attirate solo dalla necessità (e il miraggio) di una certa misura di benessere materiale. Un fenomeno chiaramente del tutto artificiale che i meglio intenzionati cercano di accogliere con l'appello alla costruzione della “società multietnica, multiculturale”. Scongiurare il pericolo di reazioni xenofobe è, almeno in prima battuta, il benemerito scopo di questa idea di grande civiltà. Forse di troppo grande civiltà, perché richiede la capacità di identificarsi con un'idea così ampia (e teorica) di insieme sociale che è fuori misura per la generalità delle persone, che normalmente si riconoscono nel proprio contesto quotidiano, per le quali già la grande città moderna 'monoetnica', ma sempre più pluriculturale, era abbastanza complessa da perdere molti riferimenti. Oggi, in aggiunta, ci si trova a condividere il quotidiano con persone dagli usi e mentalità del tutto estranee che sono lì a causa di meccanismi dell'economia globalizzata che passano sopra la testa sia degli ospiti che degli ospitanti in modo artificiale, imposto ad entrambi, in modo che nessuno dei due è spontaneamente motivato all'adattamento culturale necessario. Nella generalità dei casi l'opportunità culturalmente “evolutiva”(?) non è colta affatto dai protagonisti, né da un lato, né dall'altro, i quali, potendo sarebbero volentieri rimasti - e cercano di rimanere per quanto possibile - nelle loro abitudini e visioni consuete, ma solo da quegli intellettuali di buona volontà che, se sono coinvolti in certe problematiche è più che altro per loro scelta.
Per contro, ad esempio, nella società tradizionale indiana, nessuno ha mai parlato di società multietnica e multiculturale, ognuno dei moltissimi gruppi etnici, religiosi, linguistici ecc.. che risiedono in India, vive secondo le proprie usanze e credenze a fianco degli altri da lunghissimo tempo, convivendo e, in condizioni normali, rispettando, almeno nei fatti, gli altri, il loro spazio e le loro usanze (che spesso neppure conosce veramente), ma senza mischiarsi, senza pretendere di creare una sorta di cultura/non-cultura comune, come accade con la nostra (che è il mercato e il consumo), davanti alla quale essere tutti uguali e rispetto alla quale in-differenti . In compenso però, al posto di questa pretesa, c'è stato il tempo ed una serie di lunghi e lenti eventi storici (certo, niente affatto tutti pacifici, come è nella Storia) che hanno fatto sì che man mano le varie comunità si siano trovate a vivere una a fianco all'altra e, pur rimanendo lontane nelle proprie tradizioni e convinzioni, abbiano trovato il modo di tollerarsi e rapportarsi reciprocamente su vari piani.
Questo credo sia un esempio significativo di una grande plurimillenaria cultura ricchissima da ogni punto di vista culturale non-universalistica in cui, tra le altre cose, e per tornare al tema iniziale, quasi nessuno si sogna di dire che essere omosessuali sia altrettanto secondo natura che “etero”, ma dove esiste da secoli una specifica sottocasta normalmente accettata e riconosciuta di transessuali che circolano vestiti da donna ed hanno il loro posto nella società.




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